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Luigi Salma, l'operaio corsichese morto nel lager nazista. La storia di un eroe

Il ricordo a Luigi Salma, nato a Milano, vissuto a Corsico e morto nel campo di concentramento di Mauthausen.

Luigi Salma, l'operaio corsichese morto nel lager nazista. La storia di un eroe
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Luigi Salma, l'operaio corsichese morto nel lager nazista. La storia di un eroe.

Luigi Salma, l'operaio corsichese morto nel lager nazista. La storia di un eroe

CORSICO - Conservare la memoria, preservarla, farla vivere. “Corsico e la sua storia”, un blog e una pagina Facebook, ha questo come obiettivo. Perché il ricordo è insegnamento. In occasione della Giornata della memoria (27 gennaio) il ricordo del territorio va a Luigi Salma, nato a Milano, vissuto a Corsico e morto nel campo di concentramento di Mauthausen, in Austria. Aveva 42 anni quando è morto e pesava 30 chili. I nazisti, a furia di fargli caricare pietre, lo hanno ucciso di fame, di stenti.

Le ultime parole: “Portate un bacio a Corsico a mia moglie e a mio figlio”

Prima di morire ha chiesto un tozzo di pane, stremato, poi ha affidato le ultime parole ai compagni di quell’inferno: “Portate un bacio a Corsico a mia moglie e a mio figlio”. È il figlio Alberto a raccontare la storia del papà Luigi, forte sindacalista, sempre schierato dalla parte dei deboli.

“C’era tanta gente, tanti operai che passavano a casa. La porta era sempre aperta, per tutti”, riporta alla memoria Alberto, nato nel 1933 dall’amore tra Luigi e la moglie Erminia, incontrata in fabbrica a Corsico. Salma lavorava prima per la Materiali Refrattari, poi alla Cartiera Burgo, dove ricopriva il ruolo anche di capo Commissione interna.

Gli stralci dei racconti ricostruiscono la vita del sindacalista, grazie anche alle importanti testimonianze dei libri di Giorgio Villani, Luigi Spina e Viviana Perin.

I racconti

Racconti che disegnano una Corsico operaia, fatta di cittadini antifascisti che alla caduta di Mussolini hanno iniziato a devastare il simbolo della lotta, la Casa del fascio di piazza al Ponte, fermati proprio da Salma che invitava gli abitanti, sebbene esasperati ed esausti dal regime, di non saccheggiare e distruggere “ciò che ora è roba nostra, della comunità”, diceva. E le persone, riconoscendone la figura umana, il ruolo politico, fermarono la devastazione.

 

I suoi comizi, in fabbrica e al cinema Italia di via Foscolo erano seguitissimi: carisma e spirito democratico che non passavano inosservati.

La cattura dai nazisti

Ma i nazisti tornano a Corsico e cercano proprio lui, il simbolo della lotta antifascista. Lo cercano in fabbrica, quel buio 13 novembre 1943. Luigi ha appena finito il turno di notte, sta andando a casa. Lì lo trovano, alle 7 del mattino. La moglie non riesce a dargli l’ultimo saluto: ha attaccato il turno. C'è il figlio Alberto ad aspettarlo. Aprono la porta ai miliziani che iniziano a rovistare, a ribaltare la casa in cerca di armi.

“Ma papà era solo un politico – ricorda il figlio –. Mi hanno mandato fuori, sulla ringhiera. Papà prima di andarsene mi ha detto: dammi un bacio. Gliel'ho dato. È stato l’ultimo”.

Salma lo portano a San Vittore e come prigioniero politico non può ricevere pacchi dalla famiglia. Niente cibo o soldi, solo biancheria. La moglie Erminia prova a mandargli 50 lire e un pezzo di pane, ma i soldati rubano tutto. Un corsichese, muratore che lavorava in carcere, lo aiuta, gli porta la cioccolata con dentro i bigliettini della famiglia, ma pochi mesi dopo Salma viene caricato sul treno.

Binario 21, stazione centrale. Non tornerà più.

La famiglia la sostengono gli operai, di nascosto. Fanno collette, portano le buste alla moglie coi pochi soldi che riuscivano a mettere da parte. Ogni tanto, sempre di notte, andava il prete a casa, fingendo di far visita a qualche nazista del palazzo dove viveva la famiglia Salma, in quella che una volta era via Diaz e ora prende il nome proprio da Luigi. “Questi li manda San Giuseppe”, diceva, e metteva la busta in mano alla moglie.

“Noi avevamo persino vergogna – ricorda Alberto –, c’era così poco e i compagni di papà ci aiutavano. Io andavo a mangiare alla mensa in fabbrica. Mamma non mangiava per darlo a me. Quando alla radio parlava il duce – ricorda i momenti del regime – bisognava alzarsi in piedi. Uno degli operai, comunista, non voleva che mi alzassi. Diceva: lui è un bambino e sta seduto. Deve mangiare. E io mangiavo”.

Una volta arrivato al campo di concentramento, ha resisto tre mesi.

La solidarietà arrivava, carica di speranza. Ma per Salma il destino era ormai segnato. Una volta arrivato al campo di concentramento, ha resisto tre mesi. Poi non ce l’ha fatta, raccontano i superstiti. Lo avevano messo a lavorare in una cava, a portare pietre su e giù dalle scale. Schiavi affamati. E se perdevano un gradino, se inciampavano, se la forza veniva a mancare, c’erano pronti i cani addestrati per azzannarli.

Il 18 giugno del 1944 Salma muore di stenti ma della sua morte si sa solo nel 1945, quando un superstite ha raccontato gli ultimi istanti di vita del sindacalista. Esempio di eroismo, citano le targhe in suo ricordo. Erminia glielo diceva sempre: “Gino, lascia stare la politica”, ripeteva al marito. Ma lui sorrideva, rispondeva che certe cose non si decide di farle, perché sono un dovere.

Un dovere, sempre.

Nonostante le botte, le minacce. Salma credeva nella libertà e cercava di trasmettere lo stesso pensiero al figlio che da bambino si sentiva escluso in classe, perché i compagni avevano la divisa dei balilla ma papà Luigi mai gliela fece mettere, anche se questo significava rinunciare alle gite al mare della scuola. Alberto, con occhi di bambino, ne soffriva. Poi ha capito l’enorme valore di quel gesto di rifiuto. Salma pagò con la vita il grido di libertà, “quando libertà e giustizia erano sinonimi di sovversione”, recitano le targhe a Corsico che ricordano il proprio cittadino morto. Morto per salvarci tutti.

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