La Procura di Milano ha aperto un fascicolo sulla presenza di italiani con la passione per le armi che, durante la guerra in Bosnia agli inizi degli anni ’90, si trovavano a Trieste per essere poi trasferiti sulle colline vicino a Sarajevo dove potevano sparare sulla popolazione come fosse un video gioco. Peccato però che i loro mirini puntassero sulla povera popolazione della città che fu assediata tra il 1992 e il 1996 che contò almeno 11mila morti.
Cecchini del weekend, Milano indaga sui “safari umani” a Sarajevo
MILANO – Una nuova inchiesta della Procura di Milano riporta alla luce una delle pagine più oscure della guerra nei Balcani. Il pubblico ministero Alessandro Gobbis ha aperto un fascicolo – al momento contro ignoti – per omicidio volontario aggravato da motivi abietti e futili, in concorso tra più persone.
L’indagine sul coinvolgimento di italiani
L’indagine, affidata ai carabinieri del Ros, punta a chiarire il possibile coinvolgimento di cittadini italiani nei cosiddetti “cecchini del weekend”, stranieri facoltosi che negli anni dell’assedio di Sarajevo avrebbero pagato somme ingenti per sparare ai civili, come in un macabro “safari umano”.
L’inchiesta prende spunto da un esposto del giornalista e scrittore Ezio Gavazzeni, presentato nei mesi scorsi con l’assistenza degli avvocati Nicola Brigida e Guido Salvini, ex magistrato. La Procura sta ora ascoltando testimoni e acquisendo documenti risalenti al 1993-1994, quando la capitale bosniaca era sotto il fuoco delle milizie serbo-bosniache, nel più lungo assedio urbano della storia moderna: oltre 11mila morti, tra cui duemila bambini.
I “cecchini del weekend”: Aavrebbero pagato somme “ingenti” per sparare “per divertimento” sui civili di Sarajevo
Erano uomini ricchi, con la passione per le armi e la crudeltà. Dall’Italia e da altri Paesi europei, sarebbero partiti verso Sarajevo pagando l’equivalente di 100mila euro per partecipare a battute di tiro al bersaglio contro civili inermi. Secondo le prime ricostruzioni, Trieste sarebbe stata lo snodo logistico dei viaggi, da cui i “turisti dell’orrore” raggiungevano Belgrado, poi Pale e infine le colline intorno alla città bosniaca, forse a bordo dei voli charter della ex compagnia serba Aviogenex. Lì, unendosi a gruppi di miliziani, avrebbero trasformato il dolore di un popolo in una perversa forma di intrattenimento.
Nuove piste e testimonianze
A riaccendere i riflettori sul caso è stato il documentario Sarajevo Safari del regista sloveno Miran Zupanič e dedicato proprio al fenomeno dei “turisti della guerra”. presentato all’Al Jazeera Balkans Film Festival, e il libro Bastardi di Sarajevo di Luca Leone, che descrivono la rete di contatti tra intermediari locali e “ricchi stranieri amanti di imprese disumane”.

Anche l’ex sindaca di Sarajevo Benjamina Karic ha trasmesso una relazione alla Procura di Milano chiedendo di approfondire la vicenda, dopo che un tentativo di inchiesta in Bosnia, avviato nel 2022, si era arenato.
Come riporta Il Giorno, tra i testimoni che potrebbero essere ascoltati, un ex ufficiale dei servizi segreti bosniaci che in passato aveva riferito dell’esistenza di italiani coinvolti, tra cui “il proprietario di una clinica milanese di chirurgia estetica”. L’uomo, intervistato da Zupanič e poi contattato da Gavazzeni, avrebbe confermato che i servizi bosniaci avevano segnalato la presenza di nostri connazionali “accompagnati da intermediari per andare a sparare ai civili”.

Un’ombra lunga trent’anni
Secondo alcune fonti dell’Intelligence dell’epoca, le autorità italiane sarebbero state informate dei viaggi e avrebbero tentato di interromperli. Nel 1995 il Tribunale dei Popoli di Trento aveva già denunciato il fenomeno, ma le indagini non avevano mai portato a risultati concreti. Oggi, tre decenni dopo, la Procura di Milano prova a riaprire quel capitolo, cercando riscontri su nomi, documenti e possibili responsabilità.
Un’indagine difficile, su un passato che non smette di chiedere giustizia: quello dei “cecchini del weekend”, uomini comuni che scelsero di trasformare la guerra in spettacolo, sparando da lontano contro la vita.