Intervista ad una “nuova generazione”: Lilia Di Giuseppe

Alla scoperta di un'altra generazione: non è più cronaca ma storia.

Intervista ad una “nuova generazione”: Lilia Di Giuseppe
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Intervista ad una “nuova generazione”: Lilia Di Giuseppe.

Intervista ad una “nuova generazione”: Lilia Di Giuseppe

Abbiamo raccontato della nuova generazione che necessariamente deve riconquistare quello che i nostri padri hanno lasciato in eredità. Ma cosa realmente devono conquistare? Iniziamo da questo numero alla scoperta di quella generazione: non è più cronaca ma storia.

Io cronista ho intervistato l’inesauribile PEPPONE in gonnella: Lilia Di Giuseppe: silenziosa amica del don Camillo di turno a Cesano Boscone.

Lilia Di Giuseppe nasce a Celano in provincia di Aquila nel 1948. Si laurea in Lettere classiche e vive la sua adolescenza con una forte impegno nelle disparità sociali, nelle denuncie delle ingiustizie e del perbenismo di provincia. Lo scopo era chiaro, il mezzo di allora, nei suoi sedici anni, era il ciclostile della parrocchia. Continua la sua vita avendo sempre in mente la questione sociale. Così passa all’impegno in università,  partecipando al movimento per l’emancipazioni femminile, per arrivare al sindacato scuola della CGIL e poi iscriversi nel 1976 al PCI, arrivando a Milano e poi a Cesano Boscone.

Il passo è breve: nell’impegno politico diventa consigliere comunale, poi assessore con Marro e nel ’92 con la giunta Brembilla. Una pausa da cittadina e in seguito il suo rientro in politica cinque anni dopo con D’avanzo (anni 2004-2009) come vice sindaco con delega alla cultura. Dopo la politica, continua il suo impegno sociale in AUSER, Sacra Famiglia, l’associazione CITAS e partecipa alla fondazione dell’associazione del Circolo Donne Sibilla Aleramo. Senza dimenticare il suo impegno con  altre decine di iniziative, oltre il suo orticello ma con passione alla risposta al bisogno, giocando il suo ruolo a sostegno del progetto culturale del cinema teatro del Cristallo dove anni prima si era tentato di creare una fondazione cultura tra il pubblico e il privato sociale.

In tutto questo, che “forzatamente” ci ha raccontato, troviamo Lilia sempre più desiderosa di giocarsi, oltre il tempo, in quello in cui crede. La risposta al bisogno “parte dal non mettersi da parte” nel tentare di dare una risposta al bisogno. L’abbiamo incontrata.

Sei nata a ridosso della fine della Seconda Guerra Mondiale e cresciuta nel tempo della ricostruzione. Cosa ricordi della generazione che ti precedeva e quindi della tua famiglia?

Il senso forte di gratitudine per ciò di cui si godeva. A livello economico ma soprattutto di consapevolezza. I miei, senza lamentarsi, rilevavano però quanto fossimo fortunate noi (quattro figlie femmine) ad avere il pane quotidiano e molto più, il vestito della festa oltre a quello di ogni giorno. Soprattutto la possibilità di studiare: mia madre era arrivata alla terza elementare e mio padre, per studiare, aveva dovuto frequentare il seminario. Ricordo che il giorno in cui ho potuto decidere di frequentare il Liceo classico (allora sola via per accedere all’università) ho pensato davvero di toccare il cielo con un dito. Ricordo anche però che ogni volta che tornavo a casa con un bel voto e un esame superato, magari con 30 e lode, il commento di mio padre ( pure sorridendo con gli occhi) era: “Perché? Dovevi forse fare altro?” Senso del dovere, responsabilità e gratitudine. Sintetizzerei così.

Anni sessanta l’inizio del boom economico e al centro il sessant’otto. Come l’hai vissuto ?

C’era Carosello e la pubblicità. Il frigorifero e la moto di papà (da ufficiale giudiziario aveva accumulato migliaia di chilometri a piedi) e poi la macchina, di seconda mano, e persino le vacanze estive con una casa in affitto a Civitanova Marche. Sapore di sale e Una rotonda sul mare, i primi amori e i concerti sul lungomare e le feste della scuola, mi hanno persino eletto Miss Liceo Classico… Felicità.

Il sessantotto? Vivevo in provincia, a Macerata, dove tutto era tranquillo, un po’ addormentato (Jimmy Fontana, di Macerata, cantava “Paese mio che stai sulla collina”). Arrivava l’eco smorzata della rivoluzione culturale e solo nel ’70 decidemmo che si doveva occupare l’Università. Mio padre me lo concesse ma “alle 10,di sera a casa!” Rivoluzione contro cosa, contro chi? Ho fatto il ’68 ma in ritardo e senza reale consapevolezza: dovevo ribellarmi contro la famiglia tradizionale (la mia era perfetta), il perbenismo borghese (ero sempre stata liberissima di tenermi fuori dagli schemi), la scuola (ero molto brava e felice di poter studiare)… e potrei continuare: sono stata una sessantottina che lottava per gli altri, perché io stavo benissimo così!

Poi, però, appena laureata, sono andata a Roma, perché lì avrei potuto lavorare subito. L’autonomia, anche economica, era fondamentale per me. Lì ho incontrato i compagni e le compagne de Il Manifesto, lì andavo in manifestazione con i miei cugini, uno di Potere Operaio, l’altro di Lotta Continua. Lì ho iniziato a riflettere seriamente su quale ruolo dovessi e potessi svolgere in quel mondo che sembrava fosse un po’ al rovescio. Lì ho incontrato il movimento femminista e con questa identità nuova ho affrontato anche il mondo del lavoro.

Uno sguardo al passato di ragazza, donna, moglie, e poi madre e nonna. Com’era Lilia e com’è ora?

La ragazza: famiglia meridionale, cattolica e della media borghesia. Papà nelle liste del Movimento Sociale Italiano ma assolutamente di mentalità aperta: ero la più libera delle mie amiche e iniziavo il mio impegno anche nel sociale a sinistra (il mio primo voto ad un amico del PSI), con un padre”fascista” che mi ha sempre detto: “Fai quello che ritieni giusto, l’importante è che faccia la tua parte e che la storia non ti passi sopra”.

La donna: la parte più faticosa, forse, è stata la conquista dell’identità femminile svincolata dal senso di colpa, soprattutto nei confronti dei comportamenti sessuali. In questo il movimento delle donne mi ha aiutato molto: essere donna fa la differenza ma come maggiore forza e potenzialità intellettuale. Ho imparato a conoscermi e ad amarmi perché stavo raggiungendo la mia autonomia. Solo quando ho capito di essere soddisfatta di me, del lavoro, delle amicizie e della vita che mi ero conquistata, ho capito che potevo anche sposarmi perché era una scelta, non un bisogno. Avevo imparato a proteggermi da sola.

La moglie, la madre, la nonna: mi sento la stessa, perché in ognuno di questi ruoli rivendico sempre l’amore verso me stessa e l’autonomia, che adesso significa vivere anche per il marito, la figlia, il nipote, ma non solo in funzione loro.

Hai fatto tante cose, sei stata protagonista sociale e politica. Com’è cambiata oggi questa socialità?

E’ cambiata radicalmente e non mi sembra in meglio. Tutto quello che ho vissuto ed ho fatto, compresa l’esperienza lavorativa e politica. L’ho vissuta con gli altri e l’impegno è stato per gli altri perché, in un mondo più giusto, starei meglio anche io. Oggi tutto è fatto e vissuto in un individualismo infinitamente triste. Il “noi” non esiste, se non in alcune aree protette (penso ad associazioni di volontariato in cui però spicca l’assenza di giovani).

Una storia non si esclude dal quotidiano perché scomoda o passata, ma diventa esperienza. E l’esperienza diventa tale non per gli anni vissuti, ma nello “scoprire che una determinata cosa serva per il mondo, favorendo lo sviluppo delle coscienza e la crescita della persona”. L’esperienza è giudicata in tutti i suoi fattori, diventando punto di paragone della realtà di oggi. L’esperienza è tale quando non giudica, non condanna, non ha pregiudizio, vive di “prestima”, guardando l’altro come si guarda se stessi e senza la  pretesa dell’esito. Non giudica ma neppure tace e le sue parole sono fatti da sguardi rispettosi  e urla amorevoli. Nessun marziano, solo testimoni di una vita vissuta con coraggio. Questo riscopriamo nell’esperienza di vita di Lilia Di Giuseppe: la nostra splendida “Peppone”, oggi insegnante in pensione, ma non dall’ideale.

CronistaINLibertà
a cura di Renato Caporale

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