Morta a Rozzano: "Viviane si poteva salvare, ha implorato aiuto ma lui l'ha fatta morire"

Tutti i dettagli delle indagini che hanno portato all'arresto di Francesco Scilimati a Rozzano.

Morta a Rozzano: "Viviane si poteva salvare, ha implorato aiuto ma lui l'ha fatta morire"
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Morta a Rozzano: "Viviane si poteva salvare, ha implorato aiuto ma lui l'ha fatta morire".

Morta a Rozzano: "Viviane si poteva salvare, ha implorato aiuto ma lui l'ha fatta morire"

ROZZANO – “Sanno tutto, sanno tutto. Non si può più difendere, sanno tutto. È grigia, dai retta a me. È come se le avesse sparato in testa”. Un rapper di Rozzano, amico di Francesco Scilimati arrestato ieri con l’accusa di morte come conseguenza di altro reato, spaccio di droga e abbandono di persona, si trova in caserma, ascoltato dai carabinieri del luogotenente Massimiliano Filiberti. Il comandante sa che corde toccare e bastano un paio di domande per convincere il rapper a dire la verità.

L'interrogatorio dei carabinieri

Lui, nella casa di via Ginestre al 9, c’era quel giorno in cui Viviane Teixeira De Oliveira, 43 anni, è stata trovata morta sul pianerottolo. L’ha vista, era nello stesso appartamento dove il proprietario, Scilimati, nascondeva la cocaina e la spacciava, nonostante fosse agli arresti domiciliari proprio per lo stesso motivo. La nascondeva nei mobiletti, nella cappa della cucina, sotto il sifone del bidet in bagno. Ne aveva a disposizione sempre, e gli amici-clienti lo sapevano.

Viviane, morta a Rozzano

Lo sapeva anche Viviane, con alle spalle una storia di tossicodipendenza e malattia, un marito, tre figlie, e tanta inquietudine. La sera prima della sua morte era andata a festeggiare capodanno con un’amica in giro per locali, poi era finita a casa del rapper e infine in quella di Scilimati che invece di sincerarsi delle condizioni della ex amante (avevano avuto una lunga relazione sentimentale), le ha messo sul tavolo una striscia dopo l’altra, fino a farla morire.

La telefonata all'amico: Sta male, sta morendo, sta morendo”

La storia è atroce, perché Scilimati, 34 anni, nato a Casorate Primo e residente a Rozzano, si è accorto che la donna non stava bene, ma non ha fatto nulla per aiutarla. Ha provato a chiamare l’amico rapper, che aveva lasciato quella casa da poche ore. Anche lui conosceva Viviane da anni. “Sta male, sta morendo, sta morendo”, ha ripetuto il 34enne al telefono. L’amico gli dice di chiamare un’ambulanza, ma lo spacciatore non vuole aggravare la sua posizione, già che si trova agli arresti domiciliari. E allora non muove un dito e in quei fatali minuti Viviane muore. In quella prima telefonata, a cui ne segue un’altra per annunciare che è morta, il rapper confessa di aver sentito la donna che si lamentava, che implorava aiuto, che chiedeva di chiamare i soccorsi. Ma Scilimati è rimasto immobile e l’ha lasciata morire così, dopo averle dato dosi di cocaina ben al di sopra del limite mortale, come ha poi rivelato l’autopsia.

Una storia con troppe incongruenze

Il corpo l’ha trovato sul pianerottolo la compagna del rozzanese, 26 anni, che racconta ai carabinieri una prima versione piena di buchi, una storiella dove lei rientra in casa per prendere i soldi e andare a fare la spesa e trova il cadavere steso sulle scale. Nella storia entra anche un’amica 55enne, di Giussago, che viene chiamata dalla compagna dell’arrestato. Entrambe dicono di non aver mai visto la donna, ma mentono, perché la conoscono da anni e perché la 55enne era poche ore prima nello stesso appartamento dove c’era Viviane. Mentono per coprire Scilimati, perché così lui ha chiesto a tutti, fornendo una versione dove lui ne esce pulito. Ma i dubbi sono troppi e i carabinieri della Compagnia di Corsico del capitano Pasquale Puca iniziano a setacciare dettagli e particolari.

Le indagini accurate

A cominciare dalla posizione innaturale del corpo, a braccia aperte, steso sulle scale. Viviane indossava un pigiama, con la maglietta al rovescio, era senza scarpe, senza giubbotto, nonostante le temperature sottozero. I suoi vestiti erano infilati in due sacchetti di plastica, così come chiavi, telefoni e portafoglio. Non in borsetta. Come se qualcuno avesse buttato in fretta la sua roba dentro quelle buste e le avesse lasciate vicino al suo cadavere. Si parte dai dettagli e si arriva a scoprire un castello di bugie che Scilimati aveva costruito, approfittando di una “rete di protezioni e favoritismi su cui ha potuto contare – si legge nelle pagine dell’ordinanza –. Ha tentato di ostacolare l’operato degli inquirenti, dicendo ai testimoni cosa avrebbero dovuto raccontare”. La preoccupazione è che fuori dal carcere il 34enne possa indurre i testimoni a ritrattare e il pericolo che possa commettere ancora gli stessi delitti è troppo alta: rimane a San Vittore.

Francesca Grillo

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