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Sport dilettantistico e sport agonistico | A colloquio con una campionessa olimpica: l’intervista ad Alessia Berra

Questa settimana intervistiamo la campionessa Alessia Berra: nuotatrice italiana classe 1994, 1 argento paralimpico, 3 medaglie ai Mondiali e 14 medaglie agli Europei

Sport dilettantistico e sport agonistico | A colloquio con una campionessa olimpica: l’intervista ad Alessia Berra
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BUCCINASCO - La “nostra” campionessa non credo abbia bisogno di presentazioni: nuotatrice italiana classe 1994, 1 argento paralimpico, 3 medaglie ai mondiali e 14 medaglie agli Europei. Laurea in Scienze Motorie all’università degli Studi di Milano. Prima olimpiade a Rio nel 2016; attualmente a Valencia per scelta professionale e di vita, ma ancora oggi atleta delle Fiamme Azzurre.

L'intervista ad Alessia Berra

Tre olimpiadi già gareggiate, due in Europa ed una in Giappone: cosa c’è in comune e quale aspetto sarà unico e difficilmente superabile?

Le paralimpiadi che ho disputato sono state una in Sudamerica, una in Europa e una a Tokyo, in Asia. Sono state tutte e tre molto diverse tra di loro, perché ognuna è stata accolta da una cultura diversa, anche se il villaggio e i campi gara sono stati molto simili, e noi atleti li abbiamo vissuti in modo simile. Quello che cambiava tanto era l’accoglienza delle persone autoctone e la loro attitudine rispetto all’evento.
A Rio de Janeiro fuori dai campi gara le persone ballavano la samba tutto il giorno, facevano provare gli sport paralimpici e emanavano un’energia positiva e serena, nonostante la politica economica dietro questo evento non fosse delle migliori. inoltre, il tifo brasiliano era festoso e applaudivano tanto il primo come l’ultimo che arrivava. Questo sentimento di godersi e legare lo
sport indifferentemente da chi arrivava prima è stata la cosa più bella che ho sentito in Brasile.

A Tokyo, la cultura della disciplina e dell’ordine ha influenzato e ampliato le misure di sicurezza anti-COVID, rendendo il villaggio un ambiente sicuro e ordinato. La cultura giapponese si è espressa attraverso i volontari e i bellissimi origami che regalavano a noi atleti.

A Parigi il tifo era solo per gli atleti locali e la cultura sportiva ha fatto sì che i campi gara fossero costruiti per restare nei giorni precedenti ai giochi. Le porte erano aperte in modo tale che anche chi passava per strada poteva vedere gli atleti allenarsi e appassionarsi a diversi sport.

Quando hai capito che la tua passione poteva diventare anche la tua professione?

Quando sono salita sul podio a Tokyo 2020, alcuni dipartimenti sportivi dell’Esercito italiano stavano aprendo le sue porte per far diventare anche gli atleti Paralimpici dei professionisti. Grazie alla medaglia ho avuto il coraggio di informarmi e di chiedere, e da questo mio primo interessamento nel giro di tre anni le forze delle Fiamme Azzurre hanno aperto un concorso per meriti sportivi che ho vinto. Prima di questo salto di qualità ho fatto per tre anni l’insegnante di
educazione fisica, ed ero già iscritta in graduatoria per continuare il mio futuro all’interno degli istituti scolastici.

Come riconosci i valori più alti dello sport dilettantistico nei tuoi colleghi e colleghe atleti medagliati?

I valori dello sport dilettantistico sono la base di tutti gli atleti medagliati: divertimento, condivisione sociale, salute, Fair play, accettazione di un fallimento e determinazione per migliorarsi e raggiungere la vetta. Un atleta professionista, se alla base non ha avuto questi valori, è difficile che arrivi in alto, soprattutto perché il nuoto è uno sport ripetitivo e noioso se non si
hanno i giusti stimoli e non vengono trasmessi i giusti valori.

Quali rinunce sono più difficili da sopportare per mantenersi tanti anni ai massimi livelli competitivi?

Le rinunce più difficili che ancora oggi, dopo tanti anni di professionismo, fanno ancora male, è avere un tempo limitato per coltivare le amicizie e le relazioni sociali, rinunciare alle vacanze estive e allenarsi durante il periodo più spensierato dell’anno. È tutt’oggi difficile, anche se ben sopportato dalla motivazione di raggiungere l’obiettivo prefissato.

Quali passi principali sono da fare perché si parli solo di Sport e non di discipline inclusive a livello non agonistico?

Ci sono diversi passi da fare affinché lo sport diventi accessibile a 360°: il primo sarebbe quello di distogliere un pochino l’attenzione dall’agonismo e rendere le attività inclusive e focalizzate al benessere educativo delle persone. Affrontare una sconfitta, collaborare con una persona con una
disabilità o rispettare gli avversari, a mio avviso, sono abilità fondamentali che saranno indispensabili nel corso della vita, piuttosto che imparare a fare bene un gesto tecnico specifico.

Dacci un'anteprima del tuo primo libro: l’impegno e la fatica della stesura, la gioia e la consapevolezza del racconto e l’emozione di rispecchiarti tra le pagine negli anni più belli della tua vita sino ad ora.

Ho avuto l’idea di scrivere questo libro per lasciarlo nelle scuole ai ragazzi e fargli vedere, attraverso la mia esperienza, che a volte gli ostacoli sono occasioni per crescere. È stato sfidante scrivere, cambiare e rifare da zero il primo capitolo, quando tutto il libro era già terminato, ma la gioia nel tenerlo in mano concluso e stampato è stata insuperabile. Ripensare a tutti gli anni dalla mia infanzia è stato catartico e un modo di analizzare le esperienze e le persone che hanno condiviso il cammino con me. È stato un modo per apprezzare le cose belle e quelle brutte che ho trovato nel percorso della mia vita.

Cosa ci sarebbe da fare a Buccinasco come organizzazione privata e pubblica, oppure a livello di attrezzature, oppure nel campo della formazione di istruttori o dirigenti sportivi?

Buccinasco potrebbe rivoluzionare il nome dello sport organizzando corsi di formazione di sport inclusivo e adattato per tutti gli istruttori che lavorano all’interno dei centri  sportivi e delle piccole realtà sportive. È difficile uscire dalla mentalità agonistica, e spesso a 15 anni i ragazzi smettono di fare sport, se non hanno la forza o le capacità per continuare l’agonismo. Servirebbero delle attività che continuino anche senza gare o partite per mantenere attivi questi ragazzi e dargli la possibilità di godersi lo sport fino in tarda età. La capacità degli istruttori di adattare le attività motorie a qualsiasi tipo di persona e creare dei corsi inclusivi sarebbe la rivoluzione dello sport.

Ciao Massimo, queste sono le risposte alle tracce che mi hai dato. Spero vadano bene, ci sarà sicuramente qualche errore di battitura o di ortografia, ma confido nel tuo operato nella revisione. Una buona giornata, a presto! Alessia Berra

Massimo Biadigo

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