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Lo sport raccontato dal punto di vista di un arbitro: l’intervista al buccinaschese Edoardo Alocco

Passiamo ora a raccontarvi un altro lato, non meno importante, dello sport: quello relativo agli arbitri

Lo sport raccontato dal punto di vista di un arbitro: l’intervista al buccinaschese Edoardo Alocco
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Passiamo ora a raccontarvi un altro lato, non meno importante, dello sport: quello relativo agli arbitri. Lo facciamo grazie a Edoardo Alocco, giovane arbitro di Buccinasco

Lo sport raccontato dal punto di vista di un arbitro

BUCCINASCO - La nostra intervista al buccinaschese Edoardo Alocco:

Edoardo, sei stato un atleta praticante per molti anni nel basket a Buccinasco, quale è stato il desiderio o la circostanza che ti ha fatto iniziare l’avventura di arbitro?

Ricordo di aver iniziato a giocare a minibasket molto presto, avevo forse 5 o 6 anni; ho continuato a lungo, fino ai 18, sempre a Buccinasco senza mai cambiare società. Mi ricordo che, già dai primi anni, c' sempre stata la spinta da parte degli allenatori che ho avuto nel corso del tempo di far arbitrare a turno me e i miei compagni nelle varie partitelle di fine allenamento, e da lì è nata la curiosità di provare a mettermi in gioco in maniera diversa, ad entrare sui campi non solo come giocatore ma anche come arbitro. A 14 anni quasi per caso ho scoperto che si sarebbe tenuto un nuovo corso per arbitri del settore giovanile, ed ho voluto provare: man mano che il corso continuava ho capito che, pur essendo un modo di fare sport diverso dal basket giocato, arbitrare mi appassionava per davvero, ed infatti da allora ho continuato per più di dieci anni.

Cosa hai trovato di divertente nello stare in campo con un fischietto nei primi anni tra ragazze e ragazzi quasi coetanei?

I primi anni sono stati difficili, non si può negarlo: da adolescente entrare in campo con ragazzi della mia stessa età, qualche volta anche più grandi, fa un certo effetto. Ma ho sempre trovato divertente essere parte integrante del gioco, e sapere che senza un ragazzo come me, che aveva voglia e passione di stare in campo per tutti e 40 i minuti, le due squadre difficilmente avrebbero potuto giocare. Ho sempre cercato di trasmettere questa passione, la consapevolezza che gli arbitri sono una parte essenziale del gioco, anche quando ho accompagnato negli ultimi anni i nuovi colleghi in giro per i campi, nelle loro prime partite dopo il corso.

I corsi Federali ed i test tecnici ed attitudinali ti hanno più coinvolto e motivato oppure preoccupato e sorpreso? C’è stata occasione di coltivare nuove amicizie tra giovani arbitri?

I corsi per diventare arbitri sono da sempre un momento di forte coinvolgimento e motivazione per chi vuole esplorare questa bellissima passione ed entrare in campo in una veste diversa da quella di giocatore: la passione che viene trasmessa dai formatori è senza dubbio la giusta benzina per alimentare la voglia di provare e di mettersi in gioco. E da quando si diventa arbitri ognimomento formativo, ogni test tecnico e atletico, diventano un momento in più per ritrovare tutti quei colleghi che nel corso delle settimane e dei weekend si incontrano sui campi. Arbitrare vuol dire anche far parte di una grande squadra di amici (forse una delle più grandi della regione, se si guarda al numero di arbitripresenti in Lombardia...) e le amicizie che si creano sul campo spesso escono dai confini dei palazzetti, ed i colleghi diventano veri e propri compagni di vita. Mi considero molto fortunato nel poter considerare alcuni degli arbitri con cui ho condiviso i campi dei veri amici. E poi, proprio come le squadre, una pizza o un panino assieme dopo le partite,
quando si riesce ad essere tutti nella stessa zona della regione, ti fa sentire davvero parte di qualcosa!

Da giocatore si sbaglia spesso: un tiro libero, un terzo tempo oppure si perdono palloni palleggiandosi sui piedi: quando si sbaglia da arbitro cosa si deve fare per essere credibili ma coerenti?

Una delle prime cose che si impara da arbitro, di partita in partita, è che gli errori succedono: solo chi fa, sbaglia, ed è una parte naturale del gioco che anche i ragazzi in grigio possano sbagliare un fischio durante la partita. In un gioco veloce come il basket, quello che ho sempre trovato fondamentale (e attenzione, richiede molto impegno e non sempre ci si riesce) è mettere da parte l'errore quando accade: va riconosciuto, bisogna essere consapevoli di aver sbagliato, ma ci sono 40 minuti interi in cui restare concentrati, e se si continua a ripensare ad un fischio, o un non-fischio, sbagliato, si rischia solo di innescare una catena di errori seguenti che fanno perdere il focus della gara.  E poi è importante riconoscere che anche gli arbitri sono fallibili: ho trovato che spesso essere sinceri, e riconoscere di aver sbagliato, viene apprezzato da tutti gli addetti ai
lavori, ed è una forte dimostrazione di professionalità e dedizione all'arbitraggio.

Con le esperienze fatte in campo è meglio poter arbitrare in coppia oppure nei 28 metri per 17 del campo di basket si riesce bene anche da soli a tenere una partita?

La velocità di una partita di basket, anche se su un campo relativamente "piccolo" mi ha sempre portato a pensare che arbitrare in doppio dovrebbe essere un requisito imprescindibile per ogni partita. Non solo da un punto di vista tecnico: in due si vede sicuramente meglio quello che succede tra dieci giocatori stipati nell'arco di pochi metri quadrati. Ma anche da un punto di vista psicologico, è fondamentale andare in campo sapendo di essere parte di una squadra (anche se formata solo da una coppia) e sapendo che ci sarà qualcuno al nostro fianco per 40 minuti interi.

Quanto condiziona un arbitro l’atteggiamento del pubblico e quanto incidono nel favorire il clima dirigenti ed allenatori in panchina?

Secondo la mia esperienza, un arbitro si dovrebbe dimenticare del pubblico già nei primi minuti del riscaldamento, perché è il clima e l'atteggiamento in campo che dovrebbe essere il nostro unico focus. È ovvio che partite dove l'ambiente è molto caldo possono mettere in difficoltà gli arbitri in campo, ma devo dire che alcune delle partite in cui mi sono divertito di più ad arbitrare sono state proprio quelle dove era alta la "pressione" attorno, soprattutto se mantenuta nei limiti del civile e con un tifo sano, costruttivo e sportivo. Dirigenti e allenatori sono fondamentali invece nel gestire il clima in campo: sono loro spesso i primi interlocutori con cui gli arbitri di interfacciano, e costruire fin da subito un rapporto rispettoso dei propri ruoli e costruttivo serve per stemperare l'agonismo di una partita, calmando fasi critiche.

Ti sarà capitato di arbitrare giocatori che conoscevi fuori dal rettangolo di gioco: come usi la comunicazione verbale e non verbale per tranquillizzare le fasi critiche di gioco?

Devo dire che mi è capitato meno di quel che si potrebbe pensare di arbitrare, ma ogni volta la gestione è stata semplice: è sufficiente rendersi conto che per quanto conoscenti o amici fuori dal campo di gioco, nel rettangolo ognuno ha il suo ruolo da rispettare. La comunicazione verbale è fondamentale, ma così come lo è con giocatori sconosciuti: se un arbitro riesce a trasmettere l'impressione di essere una figura autorevole (non autoritaria!) e professionale allora il compito in campo diventa molto più semplice.

È più semplice per la tua esperienza, arbitrare una partita di cartello di basket maschile o femminile, e perché?

Non credo che più semplice o più difficile sia un vero termine di paragone per distinguere le partite di basket maschile o femminile: si tratta in realtà dello stesso sport, ma con ritmi, fisicità, temperamenti, tecnica e situazioni completamente diverse. Un buon arbitro dovrebbe sapersi adattare alle due situazioni senza fossilizzarsi su un "metodo di gestione" che può andare bene nel caso di partite maschili, ma in quelle femminili no (o viceversa). E poi le partite di cartello sono tali in qualsiasi situazione: la pressione, e il divertimento, che portano questo genere di gare non ha molta differenza tra i campionati maschili e quelli femminili.

Puoi raccontarci l’episodio più critico che hai dovuto affrontare e come ne sei venuto fuori? Più bello ricevere i complimenti oppure un grazie dai giocatori in campo oppure da un commissario FIP?

Di episodi critici ce ne sono stati parecchi nel corso di dieci anni di carriera; credo che il modo migliore per riuscire ad affrontarli sia quello di riconoscerli subito, sul campo. Sono tanti i fattori da considerare: la pressione della gara, l'agonismo, momenti concitati che potrebbero portare ad episodi di difficile gestione; quando bisogna stare attenti non solo al gioco tecnico, ma anche agli umori (e malumori) di giocatori e panchine. Se si riesce a "cavalcare" la gara e a non restare indietro, gli episodi critici si riducono drasticamente. E quando proprio succede qualcosa... l'importante è rimanere professionali, rispettare i ruoli di tutti in campo e non aver paura del confronto (ed a volte dello scontro). Per quanto riguarda i complimenti... Io ho sempre preferito quando arrivano da allenatori o giocatori, se sinceri: danno la giusta carica per proseguire con le partite successive, mantenendo alto il livello dell'arbitraggio, e incoraggiano sempre di più a continuare sulla strada intrapresa.

Lascia un messaggio per incoraggiare un adolescente ad intraprendere la scelta di fare il direttore di gara!

Provare, provare e ancora provare! Arbitrare è uno sport bellissimo, ti permette di rimanere attivo e di esplorare i campi da basket in una veste nuova e diversa, ma che poi aiuta anche quando si gioca in squadra. E poi si creano rapporti bellissimi tra persone unite dalla stessa passione!

Massimo Biadigo