IL PERSONAGGIO

Cristian Brocchi torna dove è cresciuto, tra Buccinasco e Corsico, come direttore generale della Zeta Milano: "Avrei voluto essere considerato un valore aggiunto dalle istituzioni”

Dalle origini tra Buccinasco e Corsico fino alle notti magiche con il Milan in Champions League

Cristian Brocchi torna dove è cresciuto, tra Buccinasco e Corsico, come direttore generale della Zeta Milano: "Avrei voluto essere considerato un valore aggiunto dalle istituzioni”
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Oggi Cristian Brocchi torna alle radici, mettendo la sua esperienza al servizio dei giovani e di un territorio che lo ha cresciuto. Lo fa da direttore generale della Zeta Milano, una nuova realtà che da Buccinasco passa ad affondare le sue radici a Trezzano sul Naviglio. Una vita passata a grandi livelli tra Inter, Milan, Lazio, oggi ha voglia di rimettersi in gioco, ma come dirigente e non come allenatore. Anche se la panchina della squadra in Kings League non la vuole lasciare: "Altrimenti i figli mi sbattono fuori di casa".

Ricominciare dai giovani per farli sognare

BUCCINASCO/TREZZANO - I giovani sono il futuro e per avere un sogno, una nazionale, un'idea, una visione di gioco c'è bisogno di puntare sui giovani. Ne abbiamo parlato con Cristian Brocchi, nato e cresciuto sul territorio tra Corsico e Buccinasco. Oggi vive a Trezzano sul Naviglio dove ha accettato la sfida della Zeta Milano.

Cristian, partiamo dal presente. Cosa ti ha spinto ad accettare il progetto Zeta Milano?

In realtà, più che il progetto in sé, mi ha colpito subito Antonio, il fondatore e presidente (ZW Jackson, il nickname su YouTube - lo abbiamo intervistato proprio su queste pagine). È un ragazzo giovane ma con una maturità rara. Rispetta tutti, crede nel merito e non fa mai il passo più lungo della gamba. Questo approccio mi ha convinto fin da subito. C’è stata sintonia immediata. Ho sempre amato lavorare con i giovani, dare consigli, aiutarli a crescere. E questo è proprio l’ambiente giusto. Avevo deciso di smettere di allenare per svariati motivi, tra cui la delusione in alcuni valori che ho visto nelle società, ma ho accettato di allenare la Zeta in Kings League e di intraprendere questa nuova carriera.

La delusione di Brocchi: "Mi aspettavo una chiamata dalle istituzioni"

Torniamo agli inizi. Sei nato e cresciuto nell’hinterland milanese: Buccinasco, Corsico, Trezzano. Cosa rappresentano per te queste zone?

Tutto. Io sono cresciuto a Buccinasco, ma la mia adolescenza l’ho vissuta tra lì e Corsico, dove vivevano i miei nonni. Poi ho scelto di vivere a Trezzano. Non ho mai voluto allontanarmi troppo. Mi sento parte di questo territorio. Eppure, quando sono diventato un calciatore affermato, non c’è mai stato un vero legame con le istituzioni locali. Sarei stato onorato di accettare un ruolo di porta valori per queste città. Essere un esempio per i giovani, ma nessuno ha mai cercato di valorizzare il fatto che un ragazzo di queste zone fosse arrivato a giocare in Serie A e addirittura vincere due Champions League con il Milan. Questa cosa un po’ mi è mancata. Poteva essere una grande occasione per avvicinare i ragazzi ai loro sogni.

Come hai iniziato?

Come tutti. Avevo una grande passione. All’epoca se avevi meno di sei anni non potevi giocare e allora andavo con mio papà, che all’epoca allenava il Cesano Boscone, e mi aggregavo ai piccoli per dare due calci al pallone. Appena ho avuto l’età giusta ho iniziato a giocare nel Buccinasco, fino all’età di nove anni, quando mi ha chiamato il Milan.

Ti ricordi quella giornata?

Non puoi dimenticare certe cose. Un giorno, un osservatore del Milan venne a vedere la squadra avversaria e invece di scegliere qualcuno di quella società scelse tre di noi del Buccinasco. Così iniziò tutto. Non ero un predestinato, non ho mai avuto il talento dei grandi, come Messi o Baggio, ma davo tutto e si vedeva. E poi la lunga carriera, il Milan, i trofei. Ma ora sei tornato a casa, con la Zeta.

La Zeta è una scelta di cuore, non per soldi o carriera

Cosa rappresenta questo ritorno?

Una scelta di cuore. Dopo aver smesso di allenare per motivi personali, ho riscoperto la voglia di stare con i ragazzi grazie alla Kings League. I miei figli mi hanno fatto scoprire questa competizione, molto ludica, veloce, giovanile e mi hanno quasi costretto ad accettare l’incarico e quando si è aperta la possibilità con la Zeta Milano, l’ho colta al volo. Non è una scelta economica o di carriera: è il desiderio di restituire qualcosa al territorio e ai giovani. Voglio far capire ai ragazzi che anche giocare in una squadra dilettantistica può essere un sogno, se vissuto con passione, impegno e rispetto. ù

In un certo senso, stai facendo ciò che ti sarebbe piaciuto ricevere quando eri tu il giovane talento del quartiere.

Esattamente. Mi sarebbe piaciuto essere un punto di riferimento riconosciuto per i ragazzi di Buccinasco, Corsico, Trezzano. Magari con incontri nelle scuole, magari quelle che ho frequentato da piccolo. Io sono andato alla Galilei di Corsico, alle elementari, e alla Fagnana di Buccinasco alle medie, ma nessuno si è mai fatto vivo per eventi sul territorio. Questo un po’ mi ha ferito. Ora posso farlo, anche se in ritardo. È la mia missione con la Zeta.

Cosa vorresti trasmettere a questi ragazzi?

Che i sogni non si realizzano solo vincendo la Champions League. Si realizzano anche conquistando un campionato di Seconda Categoria, se lo fai con passione e dedizione. E voglio che sappiano che un allenatore, un dirigente, può essere anche un educatore. Uno che ti ascolta, che ti abbraccia quando serve, che ti sgrida se sbagli. Questo è lo spirito che voglio portare alla Zeta. Un’ultima riflessione sul calcio italiano e sui settori giovanili.

Serve una rivoluzione culturale: Baggio lo aveva detto.

Cosa serve per migliorare?

Non voglio più sentire dire che non abbiamo talenti. In Italia siamo pieni, ma non vengono allenati nel modo giusto. Spesso l’obiettivo è vincere la partita del weekend, non far crescere il ragazzo. Gli allenatori vengono premiati se vincono, non se formano. Serve una rivoluzione culturale. Diamo la stessa importanza e retribuzione a chi allena gli Under 8 e gli Under 16. Iniziamo a costruire un percorso serio per ogni fascia d’età. E soprattutto, piantiamola con il mito della fortuna: io sono arrivato in Serie A perché ho lavorato ogni giorno, non perché sono stato miracolato.

Sei tornato da dove tutto è iniziato. Il sogno continua… in casa.

Sì, ed è la cosa più bella. Perché quando cresci in un posto come l’hinterland milanese, fatto di campetti polverosi, scuole elementari con le finestre che danno sui parcheggi, genitori che fanno i salti mortali per portarti agli allenamenti… tutto ti sembra lontano. La Serie A, San Siro, le notti di Champions… sono sogni, ma sogni che sembrano di altri. E invece quei sogni possono diventare reali anche partendo da Corsico, da Buccinasco, da Trezzano. Io ci sono riuscito, ma non perché avevo qualcosa in più: perché ho lavorato ogni giorno, perché ho creduto in me stesso anche quando sembrava impossibile, perché ho avuto vicino chi mi ha insegnato a non mollare. Oggi con la Zeta Milano voglio fare proprio questo: tendere la mano a chi magari pensa che ormai il treno sia passato. A chi ha perso fiducia, a chi pensa che giocare in una squadra dilettantistica sia un piano B. Non lo è. Può essere un punto di partenza, può essere la palestra dove impari i valori veri dello sport: il rispetto, la fatica, la squadra, la resilienza.

Fabio Fagnani

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