Trezzano, torna a vivere la villa confiscata alla mafia

Sulla villa confiscata alla mafia di via Doninzetti, l'appello del Comune

Trezzano, torna a vivere la villa confiscata alla mafia
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Nelle stanze della villa confiscata di via Donizetti ora vivono le mamme rimaste sole con i propri bambini, quelle che attraversano periodi difficili, che hanno bisogno di sostegno e aiuto per ricominciare a vivere. L’Amministrazione ha deciso a novembre di dedicare questo spazio a loro e ai percorsi di recupero e riappropriazione della propria indipendenza e autonomia, grazie al sostegno della cooperativa sociale Ripari (promossa dalle Acli).

L'appello del Comune

Ora il Comune lancia un appello: “Abbiamo incontrato più volte le ospiti, crediamo molto in questo primo progetto di co-housing che sarà vincente se tutta la comunità trezzanese sarà capace di fare rete e offrire il proprio contributo”. Il contributo di cui parla il sindaco Fabio Bottero è “un po’ di tempo da dedicare ai bambini, per giocare con loro, e alle mamme, magari per accompagnarle a fare visite e commissioni. Ringraziamo anche le associazioni dei genitori Noi con Voi e Genitori Sotto il Noce che hanno donato giochi e altro materiale per i piccoli. Contiamo sulla collaborazione dei trezzanesi per aiutare queste donne e i loro bambini”. Una stanza per ogni piccolo nucleo famigliare, cucina in condivisione e spazi per giocare con i bambini. La villa confiscata alla famiglia Ciulla, legata agli ambienti criminali di Cosa Nostra, è tornata a vivere. Lì dove il clan teneva nascosti i latitanti e imbastiva gli affari sporchi dei traffici di droga, ora giocano mamme che hanno voglia di rinascere. Come la mamma a cui la Casa è stata intitolata, Lea Garofalo, testimone di giustizia e simbolo di forza e determinazione nella lotta alla mafia.

I tempi bui di Trezzano

I Ciulla, si diceva. La famiglia che a Trezzano rimane un ricordo, la memoria di tempi bui. Capostipite era Pietro, salito da Palermo con i suoi nove figli. Tre i memorabili sul territorio: Salvatore, arrestato nel 1989 e ricercato in tutta Europa per anni. Dove si nascondeva? Nel sottotetto della villa di Donizetti. Giuseppe è morto nel 1990 in Cile, era giovane, aveva 53 anni, ma un’esperienza da narcos lunga, tanto da riuscire a trattare con il cartello di Medellin, in Sud America, per i carichi di cocaina trasportati sotto la chiglia delle navi, nei condotti di raffreddamento delle macchine. Viaggiava molto Nino, ma quando era a casa stava sempre nel negozietto di frutta e verdura che aveva a Corsico. Il terzo fratello, Antonino detto Nino, lo hanno ucciso nel 1987: erano passate tre ore dalla lettura del verdetto del primo maxi processo contro Cosa Nostra e si era fermato in pasticceria per comprare i dolci. Per festeggiare la libertà. Non solo traffici di droga, ma anche sequestri di persona tra le accuse per la famiglia: i rapiti venivano nascosti in un bunker ricavato sotto la villa.

Dalla criminalità alla rinascita

Uno strapotere a cui le inchieste mettono fine negli anni Novanta, quando iniziano i sequestri dei beni: ville, palazzine, negozi, auto e società. Miliardi di lire che girano, mezza Trezzano nelle mani della famiglia e degli altri clan vicini. “Da villa della criminalità a luogo sicuro di rinascita e protezione – sottolinea Bottero –. Questa casa dà valore alla nostra comunità e a tutto il paese. Facciamo rivivere un luogo confiscato alla mafia e ricordiamo il coraggio di Lea Garofalo a cui è intitolato, aiutando altre mamme con i propri bambini”.

Francesca Grillo

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