Lacrime e urla per l'ultimo addio a Jessica Faoro (Video)

Il tempo per piangere Jessica, per ricordarla, il tempo per soffrire, questa mattina è stato sporcato da chi non ce l'ha fatta a tacere.

Pubblicato:
Aggiornato:

Lacrime e urla per l'ultimo addio a Jessica Faoro.

Lacrime e urla per l'ultimo addio a Jessica Faoro

MILANO – C'è un momento per urlare, tutto il dolore del mondo. Il momento in cui bisogna dire basta alle violenze, basta donne uccise. C'è un momento in cui bisogna farla sentire la voce. Ma esistono momenti in cui il silenzio è come una pietra. Il tempo per piangere Jessica Faoro, per ricordarla, il tempo per soffrire, questa mattina è stato sporcato da chi non ce l'ha fatta a tacere. A rispettare il tempo delle lacrime silenziose.

Il funerale questa mattina

Al funerale della ragazza c'era il fratello Andrea distrutto dal dolore. Si aggrappava alla panca in prima fila, di fronte alla bara bianca di sua sorella, piena di gerbere rosa. Di fianco, poco distante, la madre Anna Maria, che tirava su il cappuccio per non farsi vedere negli occhi, ma poi è crollata tra gli inginocchiatoi, svenuta, quando il prete ha detto l'ultima parola della messa. Alle sue spalle, almeno 300 persone. Amici, parenti (pochi). Una zia, qualche conoscente che ha ospitato Jessica nel corso della sua vita che è durata un attimo. Ma in quell'attimo c'è stato tutto il dolore del mondo.

Una vita durata un attimo

In comunità, nel lager, come raccontano le sue compagne di stanza, fatto di rimproveri e “sberle educative”. Via dai genitori, separata anche dal fratello Andrea, affidato a una famiglia quando era piccolo. I giri per trovare un tetto, i lavori per arrangiarsi, il sogno di cantare e lo schiaffo di una vita ingiusta. Uccisa sotto le coltellate del tranviere Alessandro Garlaschi, che l'ha punita per averlo rifiutato. “Gesù è morto sotto 39 colpi. Jessica ne ha presi 42. Ha pagato con la vita il suo no”.

L'omelia di don Paolo: "Un no che le è costato la vita, ma che è speranza"

Ed è strano sentire un prete parlare di rifiuto, di “voglie, desideri morbosi che diventano un diritto e chi non lo ottiene si sente legittimato alla sopraffazione”. L'omelia di don Paolo Zago ha parlato soprattutto di questo, del no di Jessica al suo assassino. “Un no che le è costato la vita, un no che è un grido di speranza, che ci incoraggia a pensare ai valori. Vorremmo avere la forza di quegli uomini capaci di dire “non odio”: dobbiamo trovarla, e quella forza deve essere la speranza della giustizia”. E prosegue con le parole forti di Gesù: “Chi fa male ai bambini, perché Jessica era ancora una bambina, meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato in mare”. Che è la fine che tutti dentro la chiesa piena di lacrime vorrebbero per l'assassino di Jessica.

WhatsApp Image 2018-02-24 at 17.33.05
Foto 1 di 8
WhatsApp Image 2018-02-24 at 17.33.40
Foto 2 di 8
WhatsApp Image 2018-02-24 at 17.37.20(1)
Foto 3 di 8
WhatsApp Image 2018-02-24 at 17.37.20
Foto 4 di 8
WhatsApp Image 2018-02-24 at 17.37.21(1)
Foto 5 di 8
WhatsApp Image 2018-02-24 at 17.37.21
Foto 6 di 8
WhatsApp Image 2018-02-24 at 17.37.44
Foto 7 di 8
WhatsApp Image 2018-02-24 at 17.38.00
Foto 8 di 8

Quelle urla di rabbia e dolore

Mentre la minuscola bara bianca viene portata fuori da quattro donne, la gente urla “devi morire, marcire in carcere, bastardo”, come se Garlaschi fosse lì a sentire, ad assistere alla disperazione della madre che alla vista dell'ex fidanzato di Jessica, Alessandro, detenuto e scortato dalla polizia penitenziaria, gli urla che è colpa sua della vita di dolore della figlia. Accanto a lei, il nuovo marito, in mezzo la figlia di neanche 10 anni, che quando vede la mamma accasciarsi al suolo la chiama e piange disperata, portata via dai parenti.

Il padre Stefano è distante. Casco nero in mano, ha parcheggiato fuori dalla chiesa di San Gervasio il quad. Qualcuno dei colleghi tranvieri gli si avvicina. Lui stringe le mani e sussurra: «Io ci ho provato, lo sai che ci ho provato, vero?». Quando portano via la bara dalla navata centrale la chiesa si riempie di applausi. Addio Jessica, urlano le amiche. La madre si rialza in fretta dal pavimento e segue la cassa bianca che portano quattro ragazze, esili come Jessica, ma tanto basta a tenere sulle spalle quello scricciolo. Fuori la gente abbraccia il fratello Andrea che si siede sul sedile davanti sul carro funebre e appoggia la testa sulla mano, stremato. Il silenzio per Jessica non c'è più e si alza la tensione.

La piazza

Qualcuno urla, se la prende con la politica, con gli stranieri. Il sagrato diventa una squallida agorà dove il dolore per la morte iniqua è sovrastato dalle urla, dalle parole che stonano, che rimbombano come note stonate nel silenzio che anche una che amava la musica e il canto come Jessica forse avrebbe apprezzato. La bara di Jessichina riccioli d'oro è entrata in chiesa alle 11. Pioveva, le nuvole avevano oscurato Milano. Tutto grigio, spento, morto. Poi Jessica è uscita dalla chiesa, con la cassa bianca bagnata dalle lacrime di chi le voleva bene, di chi c'era, di chi ci è sempre stato e di chi è passato anche solo per un attimo in quella piccola vita dannata. L'hanno messa nella lunga macchina, piena zeppa di fiori.

L'ultimo, di campo, gliel'ha portato una signora anziana. Gliel'ha messo sulla bara e l'ha salutata. “Non la conoscevo, ma poteva essere la mia nipotina”. E se tutti la pensassero così forse ci sarebbe meno solitudine, meno vite devastate, meno esistenze spezzate. E noi a guardare. Jessica va via tra applausi e lacrime. Il cielo si apre, e nel buio di quella vita, il sole squarcia le nuvole e le regala un ultimo raggio di luce.

Francesca Grillo

Seguici sui nostri canali