Bar Lyons chiuso per mafia, i gestori perdono il ricorso al Tar

L’interdittiva antimafia firmata dal Prefetto era arrivata a fine gennaio.

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Bar Lyons chiuso per mafia, i gestori perdono il ricorso al Tar

BUCCINASCO – “Il locale era abitualmente frequentato da esponenti di spicco della criminalità organizzata calabrese, anche in tempi molto recenti”. Ricorso respinto per i gestori del bar ex Lyons, tristemente noto come l’ufficio delle ‘ndrine, finito nelle carte delle inchieste sulla penetrazione mafiosa al Nord dalla provincia di Reggio Calabria (“è espressamente menzionato nell’ambito dell’operazione Nord Sud”, spiegano i giudici).

La chiusura a fine gennaio

L’interdittiva antimafia firmata dal Prefetto era arrivata a fine gennaio e subito il gestore, Giuseppe Violi, aveva detto di voler fare ricorso sul provvedimento. Detto fatto, ma il Collegio del Tar ha dato ragione alla Prefettura, sottolineando non solo gli “stretti rapporti di parentela del ricorrente con soggetti coinvolti in numerose e gravi vicende penali”, ma soprattutto rileva come il bar costituisca, secondo la Prefettura, “un luogo storico sicuro dove poter parlare di affari e sede operativa per i traffici illeciti di varie famiglie calabresi”.

Le motivazione del ricorrente

Il ricorrente, mette in evidenza il Tar, non contesta la frequentazione di soggetti legati alla criminalità organizzata, né i rapporti di parentela (la madre di Violi, Anna Barbaro, è la figlia del re dell’Aspromonte Francesco, capostipite della potente cosca dei Pillaru), lamenta invece che “il pericolo di infiltrazione mafiosa non può sussistere sulla base della sola circostanza che determinati soggetti frequentino un luogo aperto al pubblico”. Per il ricorrente la Prefettura non avrebbe provato consapevolezza da parte del gestore dei traffici illeciti che avvengono nel locale e non ci sarebbe sussistenza del pericolo per l’ordine pubblico perché il gestore risulta incensurato.

La sentenza del Tar

Ma per il Tar “il quadro tratteggiato dall’interdittiva è ampiamente adeguato a sorreggere la stessa”. I giudici fanno anche un’altra considerazione sull’ampia “discrezionalità riservata al prefetto in tema interdittiva antimafia, a tutela delle condizioni di sicurezza e ordine pubblico”. Insomma, per i giudici c’è un concreto e attuale pericolo di infiltrazioni mafiose nella gestione dell’impresa e ai fini dell’interdittiva non occorre provare l’infiltrazione della ‘ndrangheta ma il pericolo di ingerenza. L’interdittiva, infine, non ha lo scopo di punire o sanzionare, ma, anzi, di prevenire “un grave pericolo. E la costante frequentazione del locale di soggetti potenzialmente pericolosi per l’ordine pubblico costituisce un elemento di allarme”. Il ricorrente perde quindi il ricorso del Tar che lo condanna, inoltre, al pagamento di 3mila euro.

Francesca Grillo

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