Rubrica Emigrato 2.0 Criminalità a NY? Messa sotto il tappeto
Lo spaccio di droga è silenzioso ma letale. Non si vende più roba in mezzo alla strada, come avveniva prima del sergente Giuliani. Ma...
Rubrica Emigrato 2.0.
Rubrica Emigrato 2.0: Criminalità a NY? Messa “sotto il tappeto”
Ma insomma, questa New York è così perfetta come sembra dalle foto? È tutto così legale e pulito? No, assolutamente no. E basta uscire al di fuori delle zone turistiche, per rendersene conto. Il fatto che sia ben lontano dall’essere perfetta, non nasconde ovviamente il fatto che New York sia una città meravigliosa, speciale, unica, capace sempre di darti qualcosa quando ne hai bisogno. La capitale del mondo, in cui milioni di persone si danno appuntamento per trovare la propria strada e per fare chiarezza sul proprio presente e sui propri sogni. Una capitale umana che offre di tutto, che ti aiuta e ti bastona, che ti educa e fa crescere. Senza mai fermarsi.
Il mito della città perfetta
Ma, c’è sempre un ma. Il mito della città perfetta, dove la legalità regna sovrana “mica invece come funziona in Italia dove tutti fanno quello che vogliono” è, per l’appunto, un mito. New York è piena di criminalità. Un tempo era palese, specie negli anni ’70. Oggi, quasi vent’anni dopo la cura dell’ex sindaco Rudolph Giuliani, è diminuita. Ma soprattutto è nascosta sotto il tappeto, per non essere fatta vedere. Giuliani è stato un fermo sostenitore della teoria “The broken window”, secondo cui reprimere i piccoli reati serve a ridurre il rischio di crimini più gravi. Tradotto: se c’è una finestra rotta e la faccio aggiustare punendo il colpevole, sarà più difficile che il malintenzionato dopo abbia voglia in quella zona “controllata” di delinquere. Una teoria che, sulla carta, ha funzionato: la repressione, il carcere per i drogati tanto quanto per i pusher e i fermi preventivi hanno portato a una drastica diminuzione dei reati. Ma per quanto la “finestra” sia stata riparata, a nessuno è mai interessato cosa ci fosse oltre quella finestra.
Lo spaccio "silenzioso"
E la conseguenza, è la New York di oggi. Una città dove nel South Bronx, a nord di Harlem, a Bedstuy Brooklyn, ma anche a Manhattan e nelle periferie della Westchester County, lo spaccio di droga è silenzioso ma letale. Dove non si vende più roba in mezzo alla strada, come avveniva prima del sergente Giuliani. Ma si spaccia nelle case, nei locali usati come copertura, nei negozi usati come base, online. Uno spaccio privato che non intacca la pubblica quiete. Una piramide gerarchica diversa, senza capo al vertice, ma con tanti piccoli capi indipendenti. Una realtà in cui è in aumento l’uso del fentanyl, un oppioide sintetico con cui viene tagliata l’eroina, per abbattere i costi di utilizzo della materia. E che uccide persone di overdose, come forse mai prima.
Basta aprire gli occhi
Per rendersi conto di tutto questo, basta aprire gli occhi. Basta, per quanto mi riguarda, camminare per un po’ lungo la via (commerciale, quindi “pulita”) in cui abito a Brooklyn per vedere la solita macchina a motore acceso e a fari spenti che aspetta, al solito incrocio, che il collega da una casa lì a fianco scenda con il “bottino”. Basta guardare cosa succede nelle vie limitrofe ai “Projects” (le case popolari), dove se sei un “corpo estraneo” vieni immediatamente riconosciuto e guardato (male) da tutti. E dove succede di tutto. A Brooklyn, così come a Manhattan. Basta notare le sfumature di grigio e di nero di una città in cui tante macchine a fari spenti come quella che vedo io ogni giorno, procedono nascoste senza apparire troppo.
Un contesto fragile
E finiscono per alimentare, anche in una realtà generalmente più solidale come New York, un contesto nazionale fragile di suo. Fragile per il sistema che non sta a guardare chi è rimasto indietro, e che anzi fa di tutto per lasciarlo ancora più indietro. Fragile per il silenzio, provocato dall’apparente perfezione delle luci, che finiscono per acciecare e per illudere, senza permettere di vedere per davvero cos’è New York, la capitale del mondo che ha scelto di mettere certi problemi sotto il tappeto.
Davide Mamone