Ci sono vite che sembrano correre su binari paralleli — il dovere e la passione, la concretezza e la sensibilità — ma che a un certo punto trovano un punto d’incontro, una nuova forma di equilibrio. La storia di Marisa Bovolenta è una di queste.
Portare l’arte indossando una divisa: la storia di Marisa Bovolenta, artista e agente della Polizia Locale
LOCATE DI TRIULZI – Per anni ha indossato la divisa della Polizia Municipale, diventando una delle prime donne a farsi
spazio in un ambiente tradizionalmente maschile. Dietro quel gesto quotidiano — indossare la divisa — si nascondevano entusiasmo, paura, determinazione e soprattutto umanità: quella che, come lei stessa racconta, non dovrebbe mai mancare in nessun lavoro.

Ma Marisa non è solo l’ex agente che ha dedicato la sua vita al servizio pubblico. È anche un’artista, una donna che ha sempre trovato nei colori e nelle forme un modo per raccontarsi e per dare voce a ciò che le parole non riuscivano a dire. E oggi, dopo aver lasciato la divisa con onore e serenità, ha intrapreso un nuovo cammino: quello del coaching del MICAP – Master Internazionale di Coaching ad Alte Prestazioni, dove l’esperienza umana e quella artistica si intrecciano per aiutare gli altri a riscoprire sé stessi.
L’intervista
Quali sono state le prime emozioni una volta indossata per la prima volta la divisa e quali, invece, quelle che hai provato l’ultima volta che l’hai tolta?
La prima sensazione è quella dell’entusiasmo. Entrare in un mondo nuovo e tutto da scoprire, era affascinante. Ricordo ancora la prima uscita, in Piazza Durante, insieme ad altri due colleghi eravamo stati accompagnati da un dirigente di zona per esercitarci nella viabilità. È stato uno shock passare dalla teoria alla pratica e mi sono accorta della responsabilità che mi dovevo assumere. Perché lo sguardo dei cittadini, degli automobilisti, era attento, attratto, intimoriti dalla divisa, ma incuriositi dalla nuova figura, quella femminile. Ho avuto un po’ di paura. Mi chiedevo se fossi all’altezza. In questi anni ho capito il valore dell’umanità che serve in ogni tipo di lavoro. La divisa l’ho tolta, ormai qualche mese fa, e mi sono chiesta cosa avessi davvero dato a questo servizio pubblico.
Ho capito che ognuno di noi può fare la differenza e ho restituito la divisa con onore e serenità, ma lasciare un ruolo che diventa parte della tua identità e scandisce il ritmo del tuo tempo libero, di famiglia, di passioni, di amicizie, di tempo libero in generale è stato un bello scossone, nonostante tutte le mie riflessioni e interessi extra lavoro. E comunque un po’ d’amore per quella divisa è rimasto. Per me è stata una famiglia. E continuo a sentirmi parte di quella realtà attraverso lo sport perché sono stata segretaria generale del gruppo sportivo e ricreativo della Polizia Municipale per 15 anni (la prima donna segretaria) e oggi, dopo aver frequentato il master di coaching, continuo a sentirmi parte di quel gruppo mediante lo sport. In quel master eri obbligato a fare almeno una maratona. Con chi è ancora attivo, condivido gli eventi sportivi a cui prendiamo parte.

Quando hai capito che si stava aprendo un varco in un ambiente maschile e maschilista?
Subito. Eravamo pochissime donne e il nostro lavoro era una rivoluzione per l’ambiente. Quando sono entrata ho percepito subito la differenza. Arrivavo da un ambiente diverso: ho lavorato in un negozio di arredamento, raffinato, curato, tutta un’altra natura. Mi sono ritrovata in un ambiente operativo, fatto per lo più di uomini. Prova a immaginare le battute di caserma, le pacche sulle spalle e un linguaggio diretto (in un’epoca in cui si poteva dire tutto, ndr) e colorito. Uomini di un’altra generazione, ma per me era importante non rinunciare alla mia identità femminile e ho fatto fatica a mantenerla, ma ci sono riuscita anche grazie all’arte e all’ambiente artistico. Portando un modo nuovo di vedere le cose e di relazionarsi.
Nonostante i passi in avanti c’è tanta strada da fare… la politica in questo potrebbe aiutare, ma in questo momento storico non è semplice. Cosa ne pensi dei passi avanti fatti finora? Basta poco e si torna indietro di 30 anni
Il rischio di tornare indietro c’è. Stiamo attraversando un tempo in cui si intende dimenticare che la vera evoluzione non è economica o tecnologica, ma umana. C’è la necessità di ritornare alla consapevolezza dell’essere umano. Serve una crescita da parte di ognuno, di una coscienza collettiva. Senza questo basta poco per tornare indietro di trent’anni. Serve
educare le persone, giovani e adulti, alla sensibilità, al pensiero critico, al rispetto. È solo da qui che si può coltivare una vera società, un progresso e una bellezza dell’essere umano.
C’è un giorno che hai detto “basta, rinuncio, non posso stare qui”?
Molti momenti in cui ho pensato di smettere. Non era solo il lavoro in sé, ma proprio il peso di alcune dinamiche. Ho capito che dovevo cambiare prospettiva, cambiare la mia visione e la mia percezione. Grazie anche al coaching non ho più detto “basta”, ma ho accettato la situazione e ho cercato di cambiare, cercando un modo nuovo di viverla. Il cambiamento
non è una rottura, ma una trasformazione in continuità.

L’arte come entra a far parte della tua vita? Qualcuno che ti ha ispirata sin dalla tenera età?
Fin da bambina. Esprimevo le mie emozioni tramite disegni poiché non mi esprimevo molto con le parole e quindi era il mio linguaggio: disegni, forme, colori. Mi sentivo libera di raccontare. Poi con gli studi ho imparato a dare una forma a quella voce che è diventata più consapevole. L’arte non mi ha mai abbandonata. Ti faccio due nomi: Leo Amici, che ha
promosso la bellezza e l’arte; Carlo Tedeschi, che ha portato musical, scrittura, in diversi teatri nazionali italiani. All’accademia invece ho conosciuto Tiziana Tacconi, e con lei ho portato la sua arte che si chiama arte condivisa, partecipando alla Biennale, all’Expo e a tante altre mostre.
Parliamo meglio dei tuoi progetti artistici e quale riscontro stai avendo in questo momento
In questi ultimi anni la mia arte si è intrecciata con il coaching. Il mio desiderio è quello di creare esperienze condivise che possano generare consapevolezza e cambiamento. Un progetto è nato dopo la Maratona di New York e prendeva il nome “Corriamo per essere umani”. Partenza e arrivo, le tappe della nostra crescita personale non solo della maratona. E all’interno valori importanti come la fatica, il ritmo, la disciplina, la resilienza.

La bellezza, l’arte, la cultura, spesso si dice che ci salvano, salvano l’essere umano… sono belle parole ma come si fa a crederci davvero? In un mondo che è tornato un po’ indietro tra violenza e assenza o riduzione di diritti umani?
Nella mia esperienza non è retorica. La bellezza ti può salvare, ma ognuno di noi deve scegliere su cosa concentrarsi. Siamo in un mondo inondato da negatività, dalla paura, la tensione continua, di vivere in un mondo senza futuro e questo ci porta ad avere reazioni impulsive, inconsapevoli, distruttive. Ma ho imparato che se crediamo nel bene troveremo un
modo per cambiare e la prima cosa che deve cambiare parte da noi. Da dentro di noi. È da qui che arrivano tutti i cambiamenti. Sono convinta che ciò che accade nel mondo sia lo specchio di ciò che accade dentro la nostra coscienza collettiva. Dobbiamo reimparare a vivere la gratitudine, la meraviglia, la fiducia e questi sono segni tangibili del cambiamento.
Quando sei giù di morale cosa fai? Cosa ti ispira?
La prima cosa che faccio è fermarmi. Non scappo, non mi distraggo, ma mi ascolto. Sto in silenzio. Mi riporta al centro per ritrovare il senso delle cose. Prendo in mano dei colori, gioco coi miei fili – fili di lana, fili di stoffe, fili di midollino sono materiali che uso per le mie sculture -, vado a correre. Mi ispirano le persone autentiche. Mi ispira chi costruisce invece di distruggere. Mi ispira chi ascolta invece di giudicare. Mi ispirano le persone che cercano di portare luce laddove il mondo sembra spento. Abbiamo sempre una guida dentro di noi.
Fabio Fagnani