L'INTERVISTA

“Ogni tanto guardo il cielo”, il nuovo libro di Fabio Fagnani: l’intervista

Dopo aver pubblicato diverse biografie (Roberto Baggio, Valentino Rossi, Steve Jobs) e una favola illustrata su Marco Simoncelli, il suo ultimo lavoro racconta di vita quotidiana, riflessioni e momenti personali

“Ogni tanto guardo il cielo”, il nuovo libro di Fabio Fagnani: l’intervista
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Abbiamo intervistato Fabio Fagnani che ha appena pubblicato (attraverso Amazon) il suo ultimo libro “Ogni tanto guardo il cielo”, un lavoro che coglie in pieno il tema di questo decennio nei racconti, un po’ per tutti i gusti, raccolti in questo libro che spinge i lettori a smettere di guardare verso il basso e ad  "alzare lo sguardo all’insù, puntando il naso verso le nuvole".

“Ogni tanto guardo il cielo”, il nuovo libro di Fabio Fagnani: l’intervista

CORSICO - “Siamo lì, tutti intenti a guardare verso il basso: c’è chi si guarda i piedi, chi non stacca gli occhi dallo schermo dello smartphone e chi invece non fa nient'altro che guardare l’asfalto, metro dopo metro”.

Nulla di più vero, lo racconta Fabio Fagnani nel suo ultimo lavoro “Ogni tanto guardo il cielo” pubblicato da indipendente attraverso la piattaforma online Amazon. L’introduzione che avete letto è tratta dall’omonimo racconto che dà il nome a tutta la raccolta. Un tomo di un centinaio di pagine che raccoglie estratti di vita quotidiana, riflessioni e momenti personali che diventano immediatamente di tutti.

Fagnani coglie il tema del decennio

Tornando all’opera e al racconto omonimo, Fagnani coglie il tema del decennio. Non guardiamo più verso l’alto e chissà che forse è per questo che come genere umano abbiamo smesso di compiere grandi opere. Siamo fermi all’epoca classica. Tutto è lì, fermo, immobile. Come una polaroid che aspetta di essere sviluppata. Abbiamo evoluto tutto ciò che sta intorno, ma poi - stringi, stringi - manca il cuore, manca il focus.

Siamo diventati una cornice all’avanguardia, precisa, efficiente, ma il quadro che ci rappresenta è piatto, disilluso, disincantato. Abbiamo forse perso umanità? Quel modo d'essere e di vivere con sentimento, passione, emozione, spirito e sorpresa? Ci siamo lasciati sopraffare dalla tecnica, dalla meccanica, dalla riproducibilità.

L’era dei selfie ci ha cambiato e lo ha fatto in modo drastico e forse irrecuperabile, ma è anche grazie a opere come quella di Fabio Fagnani che possiamo tornare a sentirci vivi, fatti di carne ed ossa, di sangue e dolore, di cicatrici e lacrime, di sorrisi e amore. Dovremmo seguire il consiglio dell’autore: ogni tanto tutti dovremmo guardare il cielo.

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L'intervista all'autore

Come mai hai scelto di pubblicare da indipendente?

È stata una scelta un po’ folle perché avevo due proposte da case editrici vere, formate, che mi avrebbero sicuramente aiutato, soprattutto nella promozione che è poi la parte più complicata. L’autore dovrebbe pensare solo a scrivere, ma sono rimasto deluso dalla qualità delle proposte, sia a livello economico, sia da un punto di vista editoriale e quindi, non volendo aspettare, ho deciso di fare tutto da solo e provare ad autopubblicarmi attraverso Amazon.

Un processo complicato: hai dovuto pensare a tutto?

Sì, dalla scelta della carta all’illustrazione in copertina, passando per l’editing e la scelta del prezzo che era un mio cruccio. Volevo che questa raccolta fosse economica e che tutti - compresi i miei studenti - potessero acquistarla.

Quando hai avuto l’esigenza o l’ispirazione?

Dopo aver pubblicato diverse biografie (Roberto Baggio, Valentino Rossi, Steve Jobs, nda) e “58” la favola illustrata su Marco Simoncelli (trovate tutto su Amazon o in libreria, nda) avevo voglia di scrivere qualcosa di personale, ma il mio primo romanzo è ancora fermo ai primi capitoli. Con la nascita di mio figlio ho iniziato a scrivere qualche riflessione e a un certo punto ho pensato che non volevo lasciare anche questo progetto nel cassetto. Allora ho unito alcuni lavori fatti in passato per la Scuola Holden e ho creato questa raccolta.

Come mai si chiama Ogni tanto guardo il cielo?

Era appena nato Francesco, mio figlio, e mi capitava di guardarlo, sorridere e poi di alzare lo sguardo all’insù, come se cercassi qualcosa puntando il naso verso le nuvole. Poi capita che la vita ti mette davanti delle verità che tu non volevi vedere, di cui temevi la risposta o che volevi nascondere e da lì partono una serie di riflessioni. Su di me, sulla fede, sulla vita e sulla morte.

Credo che quando diventi genitore la prima preoccupazione che ti viene in mente, oltre ovviamente alla salute del figlio, sia proprio sulla fine del viaggio. Inizi a pensare, a temere, ad aver paura. Prima, nella maggior parte dei casi, non ci pensi. Fila tutto liscio, poi inizi a pensare che prima o poi tutto questo finirà. Non si sa quando, non si sa come e non si sa nemmeno perché, ma finirà. E, senza sembrare un pessimista leopardiano, tutto questo inizia a farti riflettere su ciò che pensavi essere scontato o banale. Niente in questa vita può essere considerato tale perché esiste e se esiste non è scontato, né banale. Però, ci tengo a dire, che all’interno ci sono anche racconti meno pesanti e più divertenti, diciamo, un po’ per tutti i gusti.

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