Noi di Corsico e un libro sulla memoria dimenticata: “Abbiamo raccontato chi eravamo davvero"
Intervista agli autori del libro sulla Seconda Guerra Mondiale a Corsico

Due ricercatori, un archivio, una città. E una memoria che rischiava di scomparire. Abbiamo
incontrato gli autori del libro “Corsico - Diario di guerra, 1940-1945” - Tarcisio Sanzani e
Gianfranco Pansa - che racconta la città durante la Seconda Guerra Mondiale. Un viaggio
per scoprire quale fosse la quotidianità dei corsichesi durante un periodo drammatico con
cui forse “non abbiamo ancora fatto i conti con il passato".
Noi di Corsico e un libro sulla memoria dimenticata
CORSICO - Il libro è un interessante volume, risultato di lunghe e accurate ricerche di informazioni e testimonianze, molte delle quali raccolte negli archivi storici comunali, che raccontano storie di persone e luoghi di Corsico durante la Seconda Guerra Mondiale. Il tutto realizzato grazie all’associazione “Noi di Corsico” che da giugno si è spostata di sede, arricchendo il Centro Socio Culturale Falcone.
L’associazione “Noi di Corsico”, presieduta da Emilio Garavaglia, ha lo scopo di promuovere la conoscenza, la conservazione e la diffusione del patrimonio storico, culturale, artistico e ambientale della città di Corsico e lo fa, ormai, da 21 anni. Anche attraverso la sua biblioteca composta da più di 800 libri.
La presentazione del libro a fine maggio nella nuova sede
Nella nuova sede, lo scorso 31 maggio è stato presentato alla cittadinanza il volume. Abbiamo scambiato due chiacchiere con gli autori e con il presidente dell’associazione.
Perché un libro su Corsico durante la Seconda guerra Mondiale?
Dopo aver pubblicato nel 2018 un libro sulla partecipazione di Corsico alla Grande Guerra ci siamo sentiti in dovere di affrontare storicamente gli argomenti, le persone, i lutti, le contrapposizioni sociali di quegli anni, scoprendo che molte braci sono ancora calde sotto la cenere degli anni e solo il rigore storico ne poteva fare giustizia. Non ci siamo occupati delle motivazioni politiche, delle strategie militari, delle battaglie se non per il loro riscontro negli avvenimenti dei corsichesi rimasti coinvolti.
Da dove avete iniziato la vostra ricerca?
La parte più complicata è stata ottenere le autorizzazioni per accedere agli archivi. Abbiamo aspettato quasi due anni prima di poter consultare i primi documenti. Intanto abbiamo tracciato dei binari. Abbiamo dato un contesto, quello della quotidianità, e poi abbiamo raccolto le biografie dei personaggi che hanno vissuto quel periodo. Avevamo già una base, grazie a un precedente lavoro sulla Prima Guerra Mondiale. Ma per la Seconda c’era molto meno documentazione: nessun libro su Corsico che ne parlasse. Solo testi sulla Resistenza. Ma non c’è stata solo quella. Purtroppo è vero che la storia viene scritta dai vincitori, ma c’è tutta una serie di vinti che hanno avuto un peso, un ruolo, una vita, fatta di scelte ed errori che non devono essere nascoste o dimenticate.
Secondo voi, negli anni, qualcuno ha voluto un po’ mettere la polvere sotto il tappeto?
Da quello che raccontano gli archivi, sembra di sì. Sembra che siano state rimaneggiate delle cartelle. Un po' perché forse non abbiamo fatto ancora i conti con il nostro passato come invece hanno fatto in Germania. Probabilmente il fatto che non siamo usciti “sconfitti” dalla guerra come invece è stato per la Germania, forse non ci ha fatto guardare totalmente allo specchio, finendo per non rinnegare del tutto il fascismo. Le storie delle persone normali, non degli esponenti politici, militari o intellettuali, sono vite comuni, talvolta senza possibilità di scegliere da che parte voltarsi. In molti dopo l’armistizio dell’8 settembre non sapevano da che parte stare: qualcuno è passato dalla parte degli Alleati, qualche d’un altro, invece, è restato fedele ai tedeschi. Perché la storia, per definizione, non può essere una scelta o bianca o nera, ma ha dentro una scala di grigi infinita fatta dalle persone normali.
Perché raccontare questo lato della storia?
Perché non si ricordava più nessuno di quei ragazzi morti in guerra. Era giusto farlo. Abbiamo voluto raccontare non solo i partigiani, ma anche le altre storie. Gente che ha vissuto, sofferto, combattuto. Non volevamo fare un racconto ideologico, ma umano.
Com’è strutturato il libro?
Parte dai 52 caduti. Abbiamo cercato di restituire loro un’identità, capire se esistessero ancora discendenti. Poi abbiamo inserito documenti come il “Diario dei fatti notevoli della parrocchia”, scritto da Flaminio Tornaghi nel 1943. Racconta la quotidianità del paese, non solo eventi religiosi. C’è anche il diario di un internato militare e un altro di un soldato fuggito dopo l’8 settembre. Più alcune lettere. L’idea era: cosa succedeva davvero alla gente? Come si viveva? Abbiamo provato a rispondere a queste domande.
Ci sono stati episodi che vi hanno colpito particolarmente?
Sì, ad esempio la storia di Alessandro Santagostino. Un civile di Corsico, preso durante un rastrellamento, internato e morto in un campo di concentramento. Non aveva figli, nessuno l’ha ricordato. Eppure è morto come gli altri, ma non con la stessa dignità. È stata chiesta la pensione, un sussidio, per povertà da parte del fratello maggiore ma gli è stata negata. O quella di Burgo, l’industriale della cartiera. Arrestato come antifascista, poi accusato di essere fascista. Punito per una cosa e per il suo contrario. Solo negli ultimi anni abbiamo potuto consultare i documenti e scoprire la verità. Un imprenditore serio che ha fatto del bene per la società. Un fascista di “convenienza” per gli affari, non un militante della prima ora.
Perché secondo voi c’è stata tanta reticenza nel tramandare questi ricordi?
Perché come dicevamo l'Italia non ha mai davvero fatto i conti con la propria storia. Qui molti sono rimasti al loro posto dopo la guerra, spesso con lo stesso background fascista. Le persone che lavoravano in Comune, nelle istituzioni, non hanno perso il lavoro, non sono cambiate e hanno mantenuto una mentalità che aveva quella tradizione del ventennio. Il risultato? Una memoria selettiva, confusa, piena di silenzi. E poi c’è stata, appena dopo l’inizio della Repubblica, un’egemonia culturale, quella comunista e socialista nel dopoguerra. I documenti sono stati rimaneggiati, modificati. Spesso più volte. Alcuni archivi comunali sembrano incompleti: cartelle che non si trovano, documenti spariti.
Avete trovato i familiari dei caduti?
Pochi. Alcuni pronipoti. Ma anche chi sa, spesso non vuole parlare. La memoria è stata rimossa, per pudore o per dolore. Ho conosciuto la nipote di un fascista ucciso nel dopoguerra: diceva solo "non si parla di mio nonno". E questo è un peccato perché quella tessera del puzzle rimarrà vuota e non completerà mai uno schema più ampio.
Perché un diario?
Risponde Emilio Garavaglia: Perché il rigore storico assomiglia alla geometria: occorrono più punti coincidenti per identificare un obiettivo; per noi uno dei punti è stato il Diario di don
Flaminio Tornaghi, parroco prima, durante e dopo la guerra, e l’altro la documentazione attinta dagli archivi comunali, dalle associazioni combattentistiche, dai registri di leva, eccetera. Queste ricerche, il discernimento dei risultati, il supporto delle immagini da presentare, in gran parte furono effettuate mediante la consultazione degli archivi comunali, con il relativo carico di burocrazia autorizzativa e di velata diffidenza verso gli ‘estranei’ che stavano rovistando nella - talvolta disordinata - macchina comunale. Questo lavoro si è protratto per più di tre anni da parte degli Autori, con la collaborazione di altri soci. Dal citato diario, di cui sono riportati molti stralci, si può invece desumere l’opinione del Pastore, quella della struttura ecclesiastica, nonché gli usi e le abitudini del suo gregge, che stava vivendo momenti di realismo politico e sociale, sopito da tanti anni di condizionamento culturale del regime.
Prossimi progetti?
Abbiamo chiesto di posare una pietra d'inciampo per Santagostino. E stiamo lavorando su un altro fronte: 110 soldati di Corsico finirono nei campi di prigionia dopo l’8 settembre. Vogliamo rintracciare i discendenti e fornirgli il riconoscimento adeguato: c’è una medaglia d’onore che può essere assegnata.
E poi?
Risponde Garavaglia: Abbiamo in cantiere un altro progetto che si chiama Destinazione Corsico. Vogliamo raccontare le storie degli immigrati di prima generazione. L’obiettivo è ambizioso, ci piacerebbe mostrare i volti, lo sguardo, di chi è arrivato qui tanti anni fa dai paesi più disparati ed è rimasto, e vorremmo raccontarlo attraverso un docufilm.
Fare storia locale serve ancora?
Serve eccome. È un modo per calarsi in un tempo e in un luogo, per capire davvero cosa succedeva. Non solo nei grandi eventi, ma nelle vite delle persone. È storia, ma anche giustizia. Perché se nessuno racconta, è come se non fosse mai accaduto.
La nuova sede, in questo, vi potrà aiutare?
Risponde Garavaglia: La riorganizzazione del patrimonio comunale ci ha condotto a trasferire la sede da Via Salma 37, che gestivamo in autonomia, a Via Falcone 5/7, ospiti dell’AUSER, unitamente al CAI Corsico con cui suddividiamo gli spazi messi a disposizione. Stiamo ultimando il trasferimento di attrezzature, documentazione, libri - abbiamo una biblioteca con oltre tremila volumi e fotografie -, che speriamo di ultimare al più presto e comunque entro luglio prossimo. Abbiamo positivamente sperimentato la nuova sistemazione durante la presentazione del libro sulla Seconda Guerra Mondiale: ampia disponibilità di spazio e supporti audiovisivi, nonché una fattiva ed efficiente collaborazione con i soci AUSER che ci ospitano. A breve, ultimata la sistemazione, presenteremo la collaborazione fra AUSER, Noi di Corsico e CAI in un apposito evento, destinato ai nostri soci ed ai cittadini di Corsico.
Fabio Fagnani