Marco Catto ci racconta il suo primo romanzo, dove fatti e cose non sono solo inventati: "Qui la 'ndrangheta ha perso"
Una storia che nasce da un’esperienza personale:"da bambino a Buccinasco c’era sempre questa percezione che la microcriminalità fosse quasi assente perché c’era qualcosa di più grande che controllava tutto"

Marco Catto ci racconta il suo primo romanzo "Qui la 'ndrangheta ha perso", edito da Scatole Parlanti, una storia che nasce a Buccinasco e fonde un po’ di thriller, un po’ di vita vissuta e una profonda riflessione sulla criminalità organizzata.
Il primo romanzo di Marco Catto: "Qui la 'ndrangheta ha perso"
BUCCINASCO - Un romanzo d’esordio che ha quel sapore amaro del risveglio improvviso. La bocca impastata, il sonno che ti rallenta e la testa confusa a metà tra il restare appesa alla culla di
Morfeo e aggrapparsi a una giornata che comincia, con tutto ciò che comporta.
Quell’amore, della bocca impastata, che non va via subito. Non basta fare colazione, lavare i denti, fare pranzo e bere un caffè - non necessariamente in quest’ordine. Serve tempo, serve un altro
giro di pulizia perché, evidentemente, qualcosa è rimasto. Qualcosa dà fastidio.
La storia di Marco Catto, che si intitola "Qui la 'ndrangheta ha perso", edito da Scatole Parlanti, è una zanzara che si insinua nell’orecchio una volta coricato a letto. Sarà che è vera, reale, concreta. Un'opera che parla di ‘ndrangheta, rimanendo in superficie, senza sporcarsi le mani come farebbe la mafia calabrese, ma parlando, soprattutto, di amicizia, di assenza, di delusione. Una storia che fonde un po’ di thriller, un po’ di vita vissuta e una profonda riflessione sulla criminalità organizzata.
Abbiamo chiesto a Marco Catto di rispondere a qualche nostra curiosità.
L'intervista
Come nasce l’idea di questo romanzo?
La storia nasce da un’esperienza personale. Da bambino, a Buccinasco, c’era sempre questa percezione che la microcriminalità fosse quasi assente perché c’era qualcosa di più grande che controllava tutto. Crescendo, mi sono reso conto della vera portata di questa realtà. Quello che prima poteva sembrare un vanto, è diventato qualcosa di cui avere vergogna. Poi il tema del libro è incentrato sull’amicizia. Uno dei miei amici d’infanzia era il figlio di una famiglia legata alla mafia calabrese, e quando si è trasferito in Calabria ho sentito come se la ‘ndrangheta mi avesse portato via un amico. Al suo ritorno, non era più la stessa persona e aveva tagliato ogni contatto con noi. Questa esperienza è stata la scintilla che mi ha spinto a scrivere.
Quanto c’è di autobiografico e quanto di romanzato?
L’inizio è molto legato alla realtà, poi la storia prende una piega di fantasia, romanzata, ma l'origine del libro è la realtà. Gli stessi personaggi sono basati su persone realmente esistite, magari connotate in un modo che mi permettesse di dare un taglio alla storia e alle azioni dei personaggi.
C’è stata un’opera che ti ha guidato o ispirato?
La mia principale fonte di ispirazione è stata un podcast di Carlo Lucarelli che parlava dei riti di affiliazione delle mafie. Da lì ho approfondito l’argomento con diversi documentari e tanti libri, ma non c’è stata un’opera specifica che mi abbia guidato, ma un insieme di influenze che hanno costruito il percorso narrativo. Mi è piaciuto molto come prodotto anche Mappe Criminali. Una serie di inchiesta in vari territori del nostro Paese che raccontano eventi, situazioni, personaggi della criminalità organizzata.
Hai sempre avuto la passione per la scrittura?
Sì, ho sempre scritto per me stesso, ma senza mai portare nulla a termine. Il primo tentativo di scrittura seria risale ai tempi dell’università, quando con un amico provammo a scrivere un romanzo a quattro mani, senza una trama precisa. È rimasto incompiuto, ma è stato il primo passo per capire che volevo scrivere qualcosa di mio. Questa storia, invece, aveva un peso emotivo diverso, ed è per questo che sono riuscito a portarla a termine.
Hai avuto difficoltà nel pubblicare il libro?
Non conoscevo il mondo dell’editoria, quindi ho iniziato cercando su internet. Ho mandato il manoscritto a circa 30 case editrici. Qualcuno mi ha risposto, ma alcuni editori si sono dimostrati poco seri, chiedendo un esborso da parte mia per vedere pubblicata l’opera. Dopo qualche mese, una piccola casa editrice, Scatole Parlanti, ha accettato il libro e nel giro di tre mesi siamo arrivati alla pubblicazione. Il processo di editing è stato faticoso, perché mi richiedeva di lavorare a orari scomodi, o comunque molto differenti dalla mia routine. Io non sono uno scrittore di professione e la sistemazione dei refusi, degli errori, l’editing finale, mi hanno chiesto un dispendio di energia notevole, ma alla fine ce l’abbiamo fatta.
Hai obiettivi di vendita?
Non ho scritto questo libro per vendere. Sarei ipocrita, però, se dicessi che non mi interessasse nulla di quanto potrà vendere. La soddisfazione principale era vedere il libro pubblicato. Perché è come se questa storia diventasse di tutti e per tutti. Ovviamente mi fa piacere sapere che qualcuno lo possa leggere e apprezzare, ma non è mai stato un progetto a scopo di lucro.
Cosa pensi delle serie TV e dei film sulla mafia?
Credo che questi prodotti possano avere un effetto ambiguo. Da un lato, accendono i riflettori sul fenomeno mafioso, dall’altro possono contribuire a mitizzare i criminali. Però ci sono sempre stati, non demonizzerei troppo Gomorra rispetto a Il capo dei capi o al film Il traditore che parla di Buscetta. Mi ricordo che quando ero giovane io, erano molti i coetanei che vedevano questi personaggi come un modello da emulare. Bisogna sempre guardare questi contenuti con la giusta consapevolezza. Non credo che siano positive, però non sto dicendo che siano prodotti sbagliati, c’è bisogno di attenzione perché quei prodotti si devono mostrare a un pubblico adulto, capace di recepire e digerire determinate scene e azioni.
Che effetto ti fa vedere il tuo nome sulla copertina di un libro e come mai hai scelto questo titolo?
Appena uscito, ma in realtà ancora oggi, mi fa un effetto strano. Sono molto orgoglioso di quello che sono riuscito a fare e vedere il proprio nome su un libro, di qualsiasi tipologia, fa un effetto incredibile di gioia e stupore. Per quanto riguarda il titolo, mi ha ispirato il cartello di Buccinasco che cito anche nel libro che accompagna “Benvenuto a Buccinasco” e sotto ho sempre letto con un sorriso "Qui la ‘Ndrangheta ha perso". Poche settimane dopo l’uscita del libro, forse a qualche giorno dalla presentazione con il Comune, insieme al Sindaco Pruiti, quel cartello è stato cambiato perché era rovinato, è stato tolto. Ironia della sorte, oggi la ‘Ndrangheta ha perso è scritto sul mio libro, ma non sul cartello che lo ha ispirato.
Fabio Fagnani