Luisa Colombo: Arteterapeuta in carcere, pensieri in fuga dalla realtà...

La salutai e le chiesi, ovviamente, se non ero troppo invadente, il motivo del suo stato d'animo.

Luisa Colombo: Arteterapeuta in carcere, pensieri in fuga dalla realtà...
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Luisa Colombo: Arteterapeuta in carcere, pensieri in fuga dalla realtà...

Luisa Colombo: Arteterapeuta in carcere, pensieri in fuga dalla realtà...

I meteorologi annunciavano pioggia, ma Madre Natura aveva altri programmi per questa settimana a Lecco. Il clima era primaverile, e sotto i raggi caldi del sole che risplendeva nel cielo, si respirava un leggero venticello fresco che ci rimembrava che la bella stagione era alle porte, ma l'inverno non era ancora finito. Decisi di farmi una passeggiata sul lago per godermi un po' la giornata e fu lì che vidi in lontananza una donna immersa nei suoi pensieri. Osservando meglio mi resi conto che si trattava di Luisa Colombo. All'inizio mi sorpresi perchè so che di rado è libera dai suoi impegni, ma quel pomeriggio c'era in lei qualcosa che mi sfuggiva. I suoi occhi erano tristi e malinconici e nonostante fosse vestita sportiva sembrava stanca di qualcosa. Non riuscivo a comprendere dato che l'ho sempre conosciuta come una persona positiva e piena di energia. Preoccupata ed incuriosita la salutai e le chiesi, ovviamente, se non ero troppo invadente, il motivo del suo stato d'animo.

Luisa mi rispose con la forza di un fiume che rompe gli argini e io non potei fare altro che lasciarmi trascinare ed ascoltarla:

“Oggi avevo bisogno di dipingere, ma non ho più tele e forse è meglio così o mi sarei dovuta scontrare con una realtà con cui non ho proprio voglia di avere un face-to-face. Così mi sono infilata le mie scarpe rosse e sono corsa dal mio lago. Che periodaccio, che lungo e pesante interminabile momento, dove ogni frammento di fatica sembra lievitare attimo dopo attimo. Dove ogni mattina devi radunare ottimismo, fiducia, voglia di fare ed, evitando di chiederti se ne valga la pena, trascinarle con te giù dal letto per continuare a credere e a lottare, spolverando ogni giorno quei desideri, con la speranza che non smettano mai di brillare, perché sono loro a farti scattare sull'attenti, come un militare all'alzabandiera ad ogni sorgere del sole e a farti tirare diritto nonostante la strada sia piena di trappole e buche e le gambe comincino a cedere.

A volte è difficile digerire la realtà, accogliere le variegate sfaccettature della debolezza umana, ingoiare le tante storie ascoltate in questi anni: vicende di dolore e fallimenti causati o subiti, storie dannatamente vere con cui ho riempito pagine e pagine di quaderni. Convivere con il senso di impotenza e di inadeguatezza che ti fa credere di non aver mai fatto abbastanza, che comunque avresti potuto fare di più... Sarà il Covid, sarà la nuova chiusura, sarà la fragilità e il senso di abbandono che in questi ultimi giorni ho incontrato in carcere e nei laboratori di Arteterapia, nelle scuole, con i tanti ragazzi incontrati che ci hanno vomitato addosso, travestendo le loro richieste d'aiuto con irritanti provocazioni, con la disarmante paura di un futuro incerto e senza fondamenta e il disperato bisogno di adulti capaci di ascoltare, di comprendere e di prendersi cura senza giudizi e pregiudizi.

Eh sì, anche chi fa l'arteterapeuta sente, sulle proprie spalle e sul cuore, il peso di ciò che è accaduto e sta accadendo; di una pandemia che ha svuotato non solo i conti in banca, quelli che già non erano vuoti, ma che ha reso visibile e palpabile il grande bisogno di ritrovare un’umanità vera, quella che non si muove sui binari del dare per avere, ma del donare in modo incondizionato; quella a cui sta a cuore il bene del prossimo...chiunque esso sia.

Forse è giunta l’ora di urlare che i supereroi non sono quelli che non hanno mai paura, ma proprio quelli che nonostante la paura, continuano a credere in sé stessi e soprattutto negli altri. Quelli che si spaccano le unghie scavando per trovare quel piccolo diamante nascosto in ogni storia di dolore. Quelli che trasformano la sofferenza in carburante. Quelli che non si vergognano di mostrare le loro cicatrici e le debolezze e di dire che sono stanchi, che hanno bisogno di aiuto. Quelli che non chiudono i sentimenti e le emozioni nel baule sepolto negli angoli più bui delle cantine o dei solai, ma li tengono stretti a sé come tesori preziosi.”

Guardando il lago

Dopo questo raccontarsi Luisa si richiuse di nuovo nel suo silenzio guardando il suo lago. La salutai e ripresi a camminare solitaria sul lungolago, scossa dalla profondità del suo discorso. Le sue parole denotavano forza d'animo e di fede nel compito in cui si è impegnata a svolgere ma anche sfiducia in un mondo che sembra badare più al soldo e alla materialità che all'umanità in tutta la sua fragilità. Un'umanità che chiede aiuto… ma a chi?! Forse anche questo sfogo contiene una velata richiesta d'aiuto da parte di Luisa che non riesce a sostenere da sola tutto il peso del dolore e dei fallimenti degli altri su sé stessa come il titano Atlante che regge da solo il mondo sulle proprie spalle.

Poi mi svegliai dai miei pensieri e mi guardai attorno; delle nuvole stavano nascondendo il sole ma il lago continuava a scintillare e le montagne si ergevano come sempre al di sopra di esso. Capii che le difficoltà ci saranno sempre a rovinarti la giornata ed è lì che dobbiamo farci forza e senza perdere la speranza, fare il possibile nel nostro piccolo affinché le cose cambino o se non possiamo fare niente, essere resilienti e cercare di imparare questa capacità da Madre Natura, come fanno da secoli il lago e la montagna.

Paola Bonacina

CronistaINLibertà
a cura di Renato Caporale

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