C’è un momento, nello studio di uno psicologo, che rimane impresso nel cuore. È quello in cui una persona, dopo averci pensato a lungo, trova il coraggio di raccontare la propria storia. Lo fa con cautela, come chi cammina su un terreno sconosciuto, ma decide comunque di fidarsi. In quell’istante nasce qualcosa di prezioso: la fiducia.
È proprio su quella fiducia che si fonda tutto il nostro lavoro, e con essa il segreto professionale, un pilastro della relazione terapeutica, ma prima ancora un atto di rispetto profondo verso l’altro.
Il Codice Deontologico: la base della fiducia
Quando parliamo di segreto professionale, non stiamo parlando di una norma scritta in modo freddo e distante. È molto di più: è una promessa di protezione.
Il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani, all’articolo 11, dice che lo psicologo è tenuto a mantenere il riserbo su tutto ciò che apprende nel corso del suo lavoro. Ma nella pratica, questo non è solo un obbligo: è una responsabilità che si sente nella pelle. Ogni volta che una persona entra nel mio studio e inizia a raccontarsi, mi affida qualcosa di intimo, spesso mai detto a nessuno. Sono parole fragili, pesanti, a volte dette con vergogna o paura. Sapere che resteranno lì, al sicuro, è ciò che le permette di aprirsi davvero.
Ci sono casi particolari in cui il segreto può essere superato, quando è in gioco la vita o la sicurezza di qualcuno, ma anche allora la decisione non è mai leggera. Si riflette, si valuta, si cerca sempre la strada più rispettosa possibile. Il segreto non è un muro, ma una protezione che serve a far sentire chi parla finalmente libero di farlo.
Quando il segreto diventa cura
Nella mia esperienza, il segreto professionale è ciò che rende la terapia uno spazio diverso da tutti gli altri.
Ricordo tanti volti, tante storie. C’è chi arriva e rimane in silenzio, chi parla troppo per paura di fermarsi, chi guarda il pavimento per non incontrare il mio sguardo. In quei momenti si sente quanto bisogno c’è di essere ascoltati e quanto timore di esserlo davvero.
Poi, con il tempo, accade qualcosa che si percepisce quasi fisicamente: il respiro cambia. Le persone iniziano a capire che lì dentro nulla verrà ripetuto, che quello spazio è loro, e che possono fidarsi. Da quel momento, qualcosa si scioglie. Le parole diventano più sincere, lo sguardo si alza, e il peso comincia a diminuire.
È lì che il segreto smette di essere un dovere e diventa una forma di cura. È il rifugio dove le emozioni trovano posto senza paura, dove si può smettere di recitare e cominciare a vivere con più verità. Ed è proprio da quella libertà che nascono la consapevolezza, il sollievo e, piano piano, il cambiamento.
Il silenzio che custodisce
Fare lo psicologo significa anche imparare a convivere con il silenzio. Ogni giorno si ascoltano storie che restano dentro, segreti che non si possono raccontare a nessuno. È un silenzio che pesa, certo, ma è anche ciò che dà valore a quello che facciamo. Perché in quel silenzio c’è rispetto, dignità e fiducia.
Il segreto professionale, alla fine, non è solo una regola: è un gesto umano. È la promessa che tutto ciò che viene detto non verrà usato, ma accolto. È il terreno su cui cresce la fiducia, e con essa la possibilità di guarire.
E ogni volta che qualcuno trova il coraggio di parlare sapendo di essere protetto, lì, in quel momento semplice e potente ,inizia davvero il lavoro più bello e più vero di tutti: quello dell’anima.
Dott. Fabiano Foschini
Psicologo
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