Editoriale | Non so voi, ma io…

Una normalità fatta di ripresa del contatto con la realtà, con le persone, con i luoghi. Per molti è stato un processo naturale, per altri un difficile lavoro di riadattamento.

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CORSICO - Beh, come va? La domanda mi sembra d’obbligo. È forse la più gettonata quando in questi giorni si incontra qualcuno di persona dopo due o tre mesi di “astinenza”, se non contiamo le videochiamate, chat di whatsapp o quant’altro.

Siamo tornati alla normalità, nuova o vecchia che sia. Una normalità fatta di ripresa del contatto con la realtà, con le persone, con i luoghi. Per molti è stato un processo naturale, per altri un difficile lavoro di riadattamento (“sindrome della capanna” mi sembra che l’abbiano definita). Ci sono piccoli istanti nella mia giornata in cui riesco per un momento a dimenticare quello che abbiamo appena passato, quello che siamo ora e ciò che ci attenderà. Poi una mascherina, magari abbassata ma indossata sul collo, una continua at-tensione (come dicono i miei piccoli nipoti, ma in fondo calza a pennello) alla distanza, la duemillesima diretta facebook dalla Regione o da Protezione civile mi riportano in fretta alla realtà.

Ma come sta andando questa realtà?

Non so voi, ma io avrei tanta voglia di urlare.

Mi reputo una persona moderata, senza velleità rivoluzionarie. Una persona che spesso (e troppo) si “contiene” di fronte a ciò che ha intorno e suscita magari scandalo e indignazione. Cerco di portare il mio contributo, magari raccontando queste ingiustizie tramite il mio lavoro, ma poco di più. Un filo sottile tra l’autogiustificazione del dover restare “moderato, poco schierato” e un dato certo che mi contraddistingue: la pigrizia. In fondo, un grande mea culpa è doveroso, è molto più semplice combattere le proprie battaglie picchiando sui tasti davanti ad un monitor.

Poi questo senso di frustrazione riguardo alle cose che non vanno, che già mi accompagnava prima della pandemia, non ha fatto che amplificarsi in questi mesi di silenzio, riflessione, isolamento e paura.

Ora mi incazzo di più

Credo che sia proprio il frutto di questo periodo così fuori dal tempo, quasi una dimensione parallela in cui ci siamo trovati catapultati a forza, a risvegliare “il piccolo Che Guevara” che c’è in ognuno di noi. E allora adesso tante cose che vedo, leggo e ascolto, non mi stanno più bene.

Mi accontentavo di poco, per “sfogarmi”, in un tempo molto recente: le partite della mia amata (e odiata) Olimpia in cui poter urlare tutta la frustrazione o tutta la gioia del mondo (almeno quest’anno, con la stagione di basket saltata, il mio cuore non sta vivendo le solite fibrillazioni atriali da play off); una canzone urlata a squarciagola ai concerti, con gli occhi gonfi di lacrime a lasciar finalmente fluire liberamente le emozioni; una serata con amici e affetti in cui poter vivere il momento, l’adrenalina e lo sconquasso del calcare un palcoscenico per essere, insieme agli altri attori, un “altro me”, come copione comanda; un viaggio, alla scoperta di piccoli pezzi di questa Terra.

Ora questo non mi potrà più bastare.

Ci hanno raccontato e abbiamo visto tutto e il contrario di tutto in questi mesi: dall’emergenza sanitaria a quella economica, da un uomo morto asfissiato con un ginocchio sopra la gola ad una connazionale tornata a casa e messa alla gogna. Da un #andràtuttobene ad una futile polemica dal sovranista di turno. Dal “nessuno resterà solo” ai morti di fame, con o senza coronavirus. Discorsi da neo-eletta miss Italia? Può darsi, ma non ho neppure citato la pace nel mondo…

Basta. Tutto ciò deve finire.

Già questo processo è iniziato nei mesi di lockdown, ora è palese dentro il mio animo: basta mezze misure. È tempo di rivoluzione, che non deve per forza essere associato, in termini, a devastazione, rovina, macerie. La prima rivoluzione deve essere nell’attenzione al pianeta che ci ospita, come uomini, tutti uguali: questo può essere un punto fermo da cui declinare una sana rivoluzione. Dobbiamo impegnarci, tutti, per costruire una nuova umanità, prima ancora che una nuova normalità. Non so da dove si possa partire, questa è la seconda mia certezza. Una cosa però mi è chiara: parliamo con la nostra testa, non ripetendo come pecoroni ammaestrati la lezione del leader da quattro soldi di turno. Facciamoci un’opinione vera sulle cose, e poi agiamo di conseguenza. Al tempo stesso, va ricordato, quando non ne sappiamo abbastanza… il silenzio è sempre la migliore opzione.

Andrea Demarchi

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