Editoriale | Fase 2, la parola alla difesa...

Il premier Conte domenica sera ha fatto il discorso più impopolare della storia di un presidente. E allora perché non ci libera? Semplice...

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Bip, bip-bip, ni-nu ni-nu-ni-nu, e, lento e costante, il rumore del ventilatore polmonare. Questa è la musica di una terapia intensiva. Una musica di speranza per molti, una lenta e dissonante marcia funebre per molti altri. Solo una volta in vita mia sono stato all’interno di un reparto di rianimazione. Era il 2008. Mio papà che, fino a qualche giorno prima aveva solo ma- le ad una gamba, ora si trovava se- dato e attaccato a quei macchinari.

Bip, bip-bip, ni-nu ni-nu-ni-nu, e, lento e costante, il rumore del ventilatore polmonare

Ci sono stato per pochi minuti all’interno di quella sala e senza dubbio erano state le parole di “con- danna” del dottore a farla da padrone in quei frangenti. Ogni possibile lucidità era presto evaporata di fronte alla “sentenza” incolpevolmente emessa. Ma quei suoni, quel respiro indotto, cadenzato da mille suoni di allarme, non credo mai potrò scordarli in vita mia.

Questa, sicuramente, è un’altra storia...

I suoni costanti, però, questo rumore di sottofondo, stanno accompagnando in un intreccio comune tante vite nel mondo e nella nostra Italia. Tutti insieme, tutti a combattere per uscirne fuori, letteralmente.

Già, tutti insieme...

Mentre vi scrivo ci sono attualmente 1.863 persone, ma molte di più sono le vite ad esse legate, che “suonano” questa melodia asincrona. Certo, sono molte di meno rispetto ad un paio di settimane fa. Ma provate un po’ a mettere 1.863 musicisti a suonare tutti insieme... lo immaginate il “frastuono”? Insieme dobbiamo ancora rispettare questo maledetto virus, insieme dobbiamo superare questa emergenza sanitaria ed economica. Insieme, che bella parola.

Il presidente Conte

Domenica sera, quando tutti si aspettavano l’annuncio della riapertura di tutto, il premier ci ha detto che dovremo avere ancora pazienza. In tv ha fatto il discorso più impopolare della storia di un presidente che veniva attestato ad un “quasi bulgaro” 66% dei consensi tra gli italiani. È autolesionista? Ama farsi insultare? Non credo, se non altro non è nella natura dell’uomo. E allora perché non ci libera? Semplice, non ci sono ancora le condizioni per farlo. Avrebbe potuto fregarsene del parere del Comitato tecnico scientifico e pensare solo al bene economico. Ma, ancora una volta i numeri della scienza, unico vero faro in questo momento (con tutte le difficoltà di dover affrontare un qualcosa “scoperto da pochi mesi”), ci obbligano a casa.

La matematica non è un’opinione

Riaprendo tutto dal 4 maggio, senza più limitazioni se non il distanziamento, avremmo questo: “fino a 151mila persone in terapia intensiva contemporaneamente con il picco previsto per l’8 giugno. Entro fine anno i pazienti da intubare in insufficienza respiratoria sarebbero oltre 430mila. Anche solo chiudendo le scuole lasciando gli altri settori aperti e non ragionando sulla mobilità e sul telelavoro oltre 109mila persone finirebbero in terapia intensiva il prossimo 8 agosto”. Un’ecatombe per qualunque sistema sanitario. Non credo di dover ricordare che i posti totali in terapia intensiva in Italia sono circa 6-7.000.

L’economia di un Paese

Ce l’abbiamo avuta un po’ tutti con Conte domenica sera: la politica, la Cei, il cittadino comune che non ha più soldi in tasca. Chi ha guardato il proprio “orticello realmente catastrofico” ha avuto bisogno di esternare il proprio disappunto in ogni forma e con ogni mezzo (che la quarantena garantisce). Ma poi arriva la notte, che dovrebbe portar consiglio.

E allora ci si sveglia il giorno dopo e ci si dovrebbe dire, tutti quanti: “ma cosa ci dovevamo aspettare dal 4 maggio, il Carnevale di Rio?”

Step by step

Passo dopo passo, mai come in questo caso è d’obbligo la prudenza. Riaprire gradualmente, con la fiducia che i “molti non riapriranno perché saranno già morti economicamente” verranno aiutati e non lasciati soli al proprio destino. Molti hanno vinto un mese di ferie forzate in più, e hanno tutte le ragioni del mondo per essere angosciati sul futuro. Molti non lo vedono proprio il futuro, e capisco anche loro. Non capisco proprio, invece, chi dice “basta, riapriamo tutto: negozi, chiese, bar, ristoranti. Quel che sarà sarà...”

Una certezza c’è, non un “sarà quel che sarà”: una strage. E, a mio avviso, di morti ne abbiamo e ne stiamo ancora piangendo troppi.

Andrea Demarchi

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