Editoriale | Coronavirus, siamo tutti negazionisti?

Ci siamo persi (letteralmente) tre mesi circa, se non di più, ad ammirarci allo specchio.

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CORSICO - Vi capita mai di avere la mente così piena di informazioni e pensieri da non saper da dove cominciare? Bene, credo sia esattamente questo il contesto in cui mi approccio a scrivervi queste nuove righe, continuando questo ideale “diario da una pandemia”, giunto ormai al settimo mese.

La auto quarantena preventiva

Sto sperimentando sulla mia persona, solo in parte, devo sottolineare, e non posso proprio lamentarmi, uno degli effetti indiretti del tempo che stiamo vivendo. Spiego meglio: non sono ammalato io. So però di essere stato a cena (diversi giorni fa, ben prima delle disposizioni ora in vigore e nel rispetto di distanze e precauzioni) a casa mia, teoricamente nel posto più sicuro del “proprio mondo”, con un amico che, dopo un paio di giorni, ha cominciato a manifestare tosse e febbre. No panic, ma anche un po’ sì (non ho mai fatto segreto di essere una persona abbastanza ansiosa). Decidiamo, insieme alla mia compagna (eh sì, il matrimonio ancora non c’è stato), di chiuderci in casa in autoisolamento precauzionale, prendendoci tra l’altro anche qualche rimbrotto per essere troppo “allarmisti”, limitando a zero la vita sociale e a “strettissimamente necessario” le sporadiche uscite per beni di prima necessità (bardati in modo da non causare danno neanche ad una camera sterile). Ora invece siamo ufficialmente dei “casi stretti” di una persona con tampone positivo: dopo 5 ore di coda al “drive in” per fare il tampone, mille peripezie per avere l’esito, infine è giunto il “verdetto” per il mio amico (che fortunatamente si è già ristabilito). Siamo quindi ora obbligati per legge a stare chiusi in casa fino al prossimo sabato.

Nessun problema, c’è ben di peggio nella vita...

Questi giorni da recluso “preventivo” (ed ora ufficiale), che si sommano alla ripresa potente dei nuovi casi, e successivi Dpcm in giorni pari alternati ad Ordinanze regionali in giorni dispari, mi hanno portato molto a riflettere non tanto sullo stato attuale, quanto sui mesi che ci siamo lasciati alle spalle.

Ci siamo persi (letteralmente) tre mesi circa, se non di più, ad ammirarci allo specchio, a guardare quanto l’Italia fosse uscita dal baratro e mantenesse un basso numero di nuovi casi, specie rispetto ai Paesi attorno a noi (ammettiamolo, abbiamo anche vissuto come una sorta di rivincita il fatto che fossero ora altri ad avere problemi e noi tra i primi della classe). Abbiamo passato questi mesi estivi a litigare sui banchi (con o senza rotelle) che non arrivavano, alle mascherine che “a che co- sa servono all’aperto?”, a prendere o meno il Mes, a fare i negazionisti o a fare quelli che criticano i negazionisti.

Tutti, nel nostro “piccolo” o “grande”, siamo stati dei negazionisti.

Abbiamo deciso, più o meno scientemente, di voltare le spalle ai problemi del momento: dal semplice cittadino che ha deciso che la mascherina col caldo dava fastidio e si è buttato in qualche ressa senza proteggere gli altri da sé, al Governo locale che non ha pensato che con la ripresa delle scuole i trasporti sarebbero stati un disastro negli orari di punta (e chi se ne frega se la media sulle 24 ore non arriva all’80% della capienza, contano certe fasce orarie). Dal gruppo di amici che ha deciso che forse ora si poteva stare in venti ad una festicciola a casa senza troppo preoccuparsi, alle Regioni (o Governo) che non ha colto la “pausa” di questi mesi per ricostruire con urgenza la medicina territoriale, la vera prima linea difensiva, ampliando anche i tracciatori dei contatti con positivi, i presidi per effettuare i tracciamenti, occupandosi dei vaccini per l’influenza stagionale. E potremmo andare avanti con altri mille esempi.

Abbiamo passato questi mesi a vivere ognuno le proprie battaglie: contro chi impone “dittature sanitarie”, contro chi nega la pandemia e protesta contro le “dittature sanitarie”, contro chi non ha mascherina, contro chi “rompe con sta pandemia”, contro chi chiude e contro chi apre troppo.

Sempre contro, mai insieme.

Poi da un giorno con l’altro i casi sono raddoppiati, poi ancora di più e così ancora. Di colpo ci siamo trovati nella seconda ondata senza essere pronti nella risposta (e non si parla di cure mediche in questo caso). Quel sentimento di aprile, quel “marciare insieme per uscirne fuori più in fretta”, almeno negli intenti, è solo un vago ricordo. Oggi regna sovrano il tutti contro tutti.

Andràtuttobene?

Questa volta spero nessuno si azzardi a sussurrarlo nemmeno. Prima smetteremo di negare, ognuno a suo modo, e prima ne usciremo meglio. Insieme. Coronavirus siamo tutti negazionisti

Andrea Demarchi

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