Nel mio studio, lo constato di continuo: persone capaci e molto sensibili che, di fronte a un messaggio non visualizzato o un “ne riparliamo”, sentono il cuore battere all’impazzata oppure si chiudono in sé stesse. Non si tratta di “mancanza di carattere”, ma dell’eco di come abbiamo imparato, fin da bambini, a cercare sicurezza. Se il mondo ci è sembrato abbastanza affidabile, la nostra bussola interiore indica fiducia e apertura; se invece è stato incostante o minaccioso, la bussola perde l’orientamento e reagiamo cercando ossessivamente l’altro, controllando o scappando. Come psicologo, ti aiuto a individuare questi automatismi senza giudizio: “ho paura di essere messo da parte”, “mi chiudo per non sentirmi fragile”. Definire le emozioni cambia tutto: non sei più in balia del mare, ma inizi a interpretare la mappa.
Quando l’affetto diventa oppressione
Qui l’attaccamento sfocia nella violenza. Il desiderio di tenere stretto l’altro può trasformarsi in un bisogno di controllo, in una gelosia “per amore”, in critiche sottili per soffocare l’insicurezza. Oppure nel suo opposto: distacco, sarcasmo, silenzi che puniscono. La violenza non è una semplice discussione animata, ma uno schema che limita la libertà e l’indipendenza, e può essere fisica, psicologica, economica, digitale o sessuale. Quali sono i segnali? Amici “non graditi”, cellulare spiato, soldi centellinati, alternanza di esplosioni, scuse, regali e promesse. Se ti capita di pensare “l’ho provocato io”, fermati: questo è il linguaggio della giustificazione. Chiamare le cose con il loro nome ti riporta alla realtà. Non è colpa tua se qualcuno cerca di dominare per gestire le proprie paure.
Cosa offre il supporto psicologico: consapevolezza, strumenti, supporto
Nel mio lavoro, mi impegno a costruire insieme tre elementi fondamentali. Consapevolezza: riconoscere i fattori scatenanti, i segnali del corpo (tensione muscolare, respiro affannoso, nodo allo stomaco), i pensieri ricorrenti (“se dico di no, mi lascia”). Strumenti: sviluppare la capacità di definire i propri limiti e comunicare in modo chiaro, fare richieste precise, saper dire “no” senza sensi di colpa, concordare regole condivise; preparare piccole strategie per i momenti critici (pausa di 20 minuti, una breve passeggiata, tecniche di radicamento semplici, routine per il sonno e i pasti). Supporto: quando servono maggiore protezione o interventi specializzati, indirizzo verso servizi specifici. In caso di violenza, la priorità è la sicurezza, non la mediazione. Possiamo elaborare un piano di sicurezza: persone di fiducia da contattare, documenti importanti da tenere pronti, parole in codice, vie di fuga. La responsabilità della violenza è di chi la commette; chiedere aiuto è un atto di forza.
Evitare problemi: cerca legami che ti facciano stare bene.
Ecco alcune domande per capire la situazione: posso dire cosa voglio e cosa non voglio senza paura di conseguenze negative? Dopo un litigio, ci sono dei cambiamenti veri o solo parole? Ho abbastanza spazio per le mie passioni, il mio impiego, il mio tempo libero? Prevenire vuol dire capire come vanno le cose nel tempo, più che concentrarsi sui singoli avvenimenti, e migliorare ogni giorno piccole capacità: domandare, rifiutare, sopportare delusioni, accettare scuse sentite, dire basta ai soliti schemi “ti faccio sentire in colpa-ti faccio un regalo”. In Italia c’è il 1522 (contro violenza e stalking, gratuito, sempre attivo) e i Centri Antiviolenza; se c’è pericolo, chiama il 112. Agire sul tipo di legame che hai non risolve tutto all’improvviso, ma ti aiuta a sentirti più a tuo agio nelle relazioni: più consapevolezza, più possibilità di scelta, più rispetto. Questa è la direzione che suggerisco: relazioni dove stare vicini non spaventa e non sentirsi dipendenti non è un problema.
Dott. Fabiano Foschini
Psicologo
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