Anna Iuliano: la Prof che per educare si lascia educare

Un viaggio nelle nuove generazioni pronte a "riconquistare quello che i nostri padri ci hanno lasciato in eredità".

Anna Iuliano: la Prof che per educare si lascia educare
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Anna Iuliano: la Prof che per educare si lascia educare.

Anna Iuliano: la Prof che per educare si lascia educare

Un “Io” vivo è pieno di storie: da Omero, Ulisse, i Vangeli e tanti altri ancora, tutti passati da suo zio. Anna bambina dal suo zio speciale è pronta ad ascoltare, osservare e impara ad amare. Oggi a 39 anni (insegna da oltre 14 anni nelle scuole medie) è parte di quella nuova generazione che prepara un'altra generazione. La prof ci conduce nel mondo dei ragazzi delle medie: “Un momento decisivo del loro diventare grandi”.  Anna Iuliano Vive la sua professione di insegnante, continuando a lasciarsi educare da chi per primo gli fu maestro, una storia piena di altre storie.

Prof, ci racconti una storia?

Quando ero bambina, mio zio mi raccontava delle storie, moltissime storie: da Omero a Esopo, dai Vangeli a Manzoni. I miei fratelli ed io ci avvicinavamo alla sua carrozzina (che per noi era come un trono) e lui iniziava così: oggi vi racconto una storia. Era il suo personalissimo modo per educarci. Gli altri adulti attorno a noi erano amorevoli, premurosi, autorevoli, ma nessuno era come lui. Molti anni dopo ho capito perché è così importante raccontare storie a un bambino che sta crescendo. In questo modo puoi parlargli di amicizia, rispetto, umiltà, paura, senza fargli un discorso astratto, consegnandogli invece un esempio con il quale confrontarsi e nel quale immedesimarsi. Lewis diceva che si può parlare a un ragazzo per ore cercando di spiegare cosa sia l’amore, oppure, più semplicemente, raccontare la storia di Orfeo e Euridice. Mio zio faceva così, raccontava storie.

Credo che sia questo il motivo per cui oggi insegno italiano in una scuola media. Il mio percorso non è stato molto lineare, ma quasi nessuno lo è. Dopo la maturità feci il test per entrare alla facoltà di medicina, ma venni bocciata, decisi che ci avrei riprovato l’anno successivo, perché era quello il mio sogno. Nel frattempo feci la cameriera, la commessa, la segretaria, la babysitter. Il settembre successivo poi non riprovai il test, ma mi iscrissi a Lettere Moderne e cinque anni dopo feci la mia prima lezione in una seconda media.

Da una storia a "una commedia", ci parlavi di Dante?

Una delle cose più belle degli anni dell’università è stata l’esperienza di Centocanti. Ho incontrato ragazzi universitari e professori innamorati di Dante e della Divina Commedia. Questa loro passione era contagiosa e ho iniziato a seguirli. Mi hanno proposto di entrare a far parte dell’associazione Centocanti che prende il nome proprio dal numero di canti della Divina Commedia.

Ognuno di noi avrebbe dovuto imparare a memoria un canto della Commedia, con lo scopo di creare una vera e propria “Divina Commedia vivente”. Nel 2005 abbiamo proposto un evento pubblico di recita dei canti della Commedia per le strade di Milano: è stato stupendo! Parole scritte settecento anni prima, in una lingua così difficile da capire, risuonavano tra le vie del centro di Milano, tra la Rinascente e il McDonald’s. Giovani tra i 19 e i 25 anni ripetevano a memoria parole così lontane nel tempo eppure così attuali. Io avevo imparato il secondo canto dell’Inferno, quello che parla della fatica dell’inizio, della paura, del bisogno di avere un maestro nella vita e del desiderio delle stelle.

Ancora oggi quei versi mi tornano alla memoria e quelle parole mi fanno una grande compagnia come se fossero state scritte per me!

Prof, educare oggi: parlaci dei ragazzi

Quando dico che insegno alle medie, tanti alzano il sopracciglio e dicono “che anni difficili quelli” o altre espressioni più colorite. Sono finita alle medie quasi per caso, ma poi ho scelto di rimanerci quando ho sentito un prete definire decisivo il periodo che va dagli 11 ai 13 anni. È il momento in cui un ragazzo decide se avere un atteggiamento di simpatia o antipatia verso il mondo, se guardare la realtà con curiosità o con sospetto. Alle scuole elementari questa apertura è quasi naturale, alle superiori il giudizio si sta già formando, ma alle medie è il momento della novità, della scoperta, della lotta ed è per questo che sono anni difficili.

Quello che si dice dei ragazzi di oggi è che sono meno capaci di concentrazione, più fragili, meno abituati alla fatica, meno educati, più sfacciati eccetera. Credo che in tutto questo ci sia del vero, ma c’è dell’altro. In questi 14 anni di insegnamento, non ho ancora trovato un ragazzo che non si appassioni ad alcune storie, alla vicenda di Ulisse per esempio. Un uomo che, dopo numerosi ostacoli e impedimenti, riesce a ritornare a casa e a riabbracciare le persone che ama. Un uomo chiamato ad affrontare molte prove lungo il suo cammino, prove che sono una parte importantissima della strada che deve compiere. Un uomo che è costituito dal suo desiderio. I ragazzi, nonostante il poema omerico sia plurimillenario, non sentono distante questa storia e si stupiscono di come quel tale, vissuto tanti anni fa, abbia descritto così bene i loro desideri e le loro paure. Quindi è vero: spesso gli studenti sono impazienti, fragili, stanchi, impertinenti, ma capaci di intercettare ciò che parla alla loro vita e al loro cuore. Questo dovrebbe bastarci.

Prof. domanda e ti sarà dato

Se potessi cambiare qualcosa? Potrei dire che sarebbe bello che le istituzioni dimostrassero più attenzione verso tutte le scuole, soprattutto le paritarie, che sarebbe desiderabile una sempre più proficua collaborazione tra insegnanti e genitori, che sarebbe auspicabile una maggior attenzione agli studenti con difficoltà… Ma in realtà, forse, non cambierei niente. Spero semplicemente che gli studenti di oggi e di domani trovino adulti, e mi ci metto dentro anch’io ovviamente, lieti e certi che nella situazione presente ci sia qualcosa da scoprire e che quello che ci capita sia la strada per diventare grandi. Questa è un’altra cosa che ho imparato da mio zio. La sua condizione, così limitante e faticosa, non lo rendeva arrabbiato o sconsolato. Quella carrozzina da cui ci raccontava le storie non era per lui una gabbia, ma era la strada per essere felice, e lo era veramente! Era forse per quello che a noi bambini sembrava un trono.

Lo sguardo di Anna osserva un passato decisamente presente, non vuole perdersi nulla di quanto ha ricevuto "seduta su quel trono", quel  criterio ideale per sua la vita e che fortemente desidera per suo figlio e per i suoi alunni. La nostra Prof è sempre pronta a ricominciare a mettersi in gioco a reinventarsi una nuova storia da raccontare ai suoi ragazzi, dentro la faticosa realtà del coronavirus. Immaginiamo l'inizio di una nuova storia: “Ragazzi, non abbiate paura: vi racconto una storia vera, bella magnifica... Vi racconto di mio zio”   Grazie Prof!

CronistaINLibertà
a cura di Renato Caporale

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