Il teatro come avamposto culturale della periferia, per formare giovani artisti: la storia del ComTeatro a Corsico
Claudio Orlandini, fondatore e anima di Comteatro, racconta una storia di passione, formazione e teatro di frontiera

Da uno scantinato in una zona “sensibile” di Corsico a un progetto culturale che ha formato decine di attori, drammaturghi e cittadini consapevoli.
Claudio Orlandini racconta la storia del ComTeatro di Corsico
Claudio Orlandini, fondatore e anima di Comteatro, racconta una storia di passione, formazione e teatro di frontiera. Un teatro che nasce nei parchi, dialoga con la periferia e non ha paura di sporcarsi le mani con temi scomodi, come la ludopatia, il consumismo, la solitudine, la morte.
L'intervista
In questa lunga intervista, si ripercorrono le radici di un'esperienza unica nel panorama teatrale italiano, tra successi, riconoscimenti tardivi e una sfida sempre viva: restare umani in un mondo che corre troppo veloce.
Partiamo dalle questioni recenti e dallo spettacolo sulla ludopatia che purtroppo è stato cancellato per maltempo…
Sì, purtroppo. Avevamo lavorato tutto il giorno, e anche nei giorni e nelle settimane precedenti, per preparare l’evento. Non poterlo fare è stato frustrante. L’organizzazione era pensata per la piazza, quindi non c’erano alternative immediate. Lo rifaremo a settembre, all’Oratorio San Luigi, nell’ambito di un convegno sulla ludopatia, un problema molto presente a Corsico.
Lo spettacolo è nato su richiesta da parte delle istituzioni?
No, nasce da un lavoro di ricerca di qualche anno fa. Con il nostro drammaturgo, Davide Del Grosso, siamo andati nei luoghi del gioco d’azzardo – tabaccherie, sale giochi – per osservare e ascoltare il linguaggio, i modi di fare. Inizialmente c’erano due personaggi: Franco, il protagonista, e una figura femminile, che avrebbe dovuto rappresentare la Fortuna. Poi ci siamo resi conto che "Vivo per Gioco" poteva funzionare come monologo, interpretato magistralmente da Davide Bonacina, tutto vissuto nella testa del protagonista, come fosse tutta una grossa illusione. È uno spettacolo che ha girato, lo abbiamo anche presentato in una masseria confiscata alla mafia a Cisliano, ed ha avuto un ottimo riscontro. Voglio ringraziare a questo proposito Daniela Parisi, la nostra addetta alla comunicazione.
Torniamo indietro, di un po’ di tempo. Com'è nato Comteatro e come sei cambiato tu nel tempo?
Sono arrivato a Corsico da ragazzo, dalla Puglia. Vivevo in via Copernico, vicino al centro civico Giorgella, una zona all’epoca molto difficile, sicuramente più di adesso. Insieme ad altri due ragazzi abbiamo chiesto di poter provare nello scantinato del centro. Eravamo tutti e tre appassionati di questo mondo e vedevamo nel teatro un baluardo di speranza in una zona complessa. Avevamo 18-19 anni. Dopo un po’ di tempo le strade si sono divise e sono rimasto solo a portare avanti l’idea. Passati gli anni, cambiano i compagni di viaggio, ma non cambia la filosofia, l’idea, la visione che avevo e finalmente nel 1996 è nata ufficialmente l’associazione Comteatro, assieme alle storiche componenti dello staff Carola Boschetti e Cinzia Brogliato, ma l’attività di formazione era iniziata già nel 1983. La mia idea è sempre stata quella di portare il teatro fuori dagli spazi chiusi, abbattere la quarta parete, cercare il contatto diretto con lo spettatore. Il teatro ha cambiato me, e volevo che potesse avere lo stesso effetto su altri. Il Parco Giorgella era un luogo difficile, quasi inaccessibile. Ma proprio per questo mi sembrava importante esserci, creare un avamposto culturale.
Qui si capisce l’idea di mettere in scena il teatro itinerante.
Sì, è stato molto bello, molto complesso, ma è interessante veder lavorare e poi mettere in scena lo spettacolo creato dai ragazzi dello Studio. Tre annualità diverse che si incontrano, che si scambiano competenze, conoscenze, passione. C’è chi è più bravo a scrivere, chi a fare dialoghi, chi è più espressivo, e questa commistione rende il tutto più potente.
Torniamo alla zona di cui parlavi. Un avamposto, un ultimo baluardo di cultura e arte prima della frontiera con l’inizio della periferia milanese. Avete mai pensato di trasferirvi?
Abbiamo avuto diverse proposte negli anni, ma io ho sempre voluto restare nel luogo in cui sono cresciuto. Quel luogo, anche se piccolo, ha significato tanto per tanti. Ora stiamo cercando di ottenere la gestione del Teatro Verdi, chiuso da anni. L’idea è di mantenere il Com dove siamo e usare il Verdi per portare lì gli spettacoli più importanti, che oggi rappresentiamo a Milano, per esempio al MTM. Non ci interessa al momento ingrandirci, anche se gli spazi iniziano a essere limitanti.
Più che ingrandirvi, avete mai pensato di moltiplicarvi? Tipo aprire altri Com in altre zone simili? Zona complicate, da riqualificare attraverso l’arte
È un’idea affascinante, ma complessa. Sarebbe bello creare altre sedi di frontiera, mantenendo però la nostra identità. In fondo, il lavoro che abbiamo fatto al Giorgella ha cambiato il quartiere. Oggi è un parco vivo, frequentato, sicuro. Abbiamo avuto episodi difficili, persino una rapina. Ma oggi si dialoga. Anche con i ragazzi che frequentano il campo da calcetto: abbiamo trovato un compromesso per spegnere le luci durante lo spettacolo itinerante, un compromesso e poi riaccenderle. È stato bello vedere che si può mediare, parlare, non solo escludere.
A proposito di formazione, quanti corsi proponete oggi?
Abbiamo due percorsi. Lo Studio, che è un corso di tre anni con due giorni fissi a settimana più un seminario collettivo ogni due settimane. È un percorso profondo, quasi professionalizzante. Anzi, senza il “quasi”. L’obiettivo è che chi partecipa esca e possa utilizzare le competenze teatrali in modo professionale anche se in altri ambiti, non per forza a teatro. Io mi occupo del secondo e terzo livello, mentre altri colleghi seguono il primo. I seminari servono proprio a questo: creare una comunità dove si cresce insieme e poi si va in scena, magari in gruppi misti come nello spettacolo itinerante. Poi abbiamo il monosettimanale, nato per chi vuole avvicinarsi al teatro in modo più leggero. È frequentatissimo: quest’anno circa 65 persone divise in tre corsi. Molti iniziano lì e poi passano allo Studio. È un primo contatto, che spesso accende una passione.
Parlavamo di professionalità. Si dice che chi vuole fare teatro in un certo modo prima o poi passa dal Com. È una percezione che avete?
Sì, diciamo che lo sappiamo, è quello che ho voluto fortemente creare. Anche se a volte ci hanno anche etichettati come una “setta”, nel senso che il nostro approccio è molto serio. Non tratteniamo le persone solo per farle divertire. Il nostro obiettivo è formare artisti, non solo attori. Offriamo uno spazio dove si può crescere davvero. Il monosettimanale ci aiuta a fare un primo filtro: chi vuole approfondire, poi passa allo Studio. E così la scuola diventa un vero percorso formativo, anche personale.
Chi sono stati i tuoi maestri?
Purtroppo non ne ho avuti di veri, o almeno, non come avrei voluto. Forse è per questo che oggi insegno ciò che avrei voluto mi venisse insegnato quando ero giovane. Ho frequentato la Civica, la Paolo Grassi, per qualche mese, poi ho iniziato subito a lavorare. Ho fatto un seminario sulla Commedia dell'Arte, e lì ho capito quanto sia importante avere una grande passione per poter dare qualcosa davvero. C'era un maestro francese che mi disse proprio questo: "Per insegnare, bisogna avere avuto un grande bisogno". Questo bisogno, però, l’ho trovato raramente nelle persone che ho incontrato. Da allora ho iniziato a interrogare profondamente il mio bisogno umano di relazione, anche dal punto di vista formativo.
Quindi possiamo dire che ti sei formato da solo?
Sì, direi proprio di sì. Ho studiato tanto, in modo autonomo, anche se nel tempo ho incontrato esperienze formative che ho poi approfondito. Il mio percorso è stato molto legato e segnato dall'esperienza dei lavori di Grotowski.
Poi però hai fatto anche un lungo percorso attoriale, giusto?
Esatto, ho lavorato per quasi vent’anni al Teatro della Tosse di Genova, prima come attore e poi come regista. È stata un'esperienza che mi ha formato sulla mia pelle. A un certo punto ho deciso di lasciare la recitazione, anche se talvolta torno in scena. Sentivo il bisogno di guidare gli attori come avrei voluto essere guidato. Quello che dico oggi agli attori che seguo nasce proprio da quella mancanza che ho vissuto.
Quando il Com è diventato un’attività autosufficiente?
Nei primi anni ’90 lavoravo per mantenere il Com, facendo l’attore in giro. Solo da una decina d’anni il Com è diventato un progetto più stabile, che riesce a garantire una base economica, anche se modesta, a chi ne fa parte. Non tutti ci viviamo, ma la scuola e gli spettacoli offrono un minimo di sostegno.
C’è qualcuno in particolare, un attore o drammaturgo, che hai formato che ha avuto successo?
Ce ne sono tanti, per fortuna. Uno è Enrico Ballardini, che lavora stabilmente a Milano. Poi ci sono Umberto Banti e Luca Chieregato, anche loro miei ex allievi. Molti sono passati anche da Quelli di Grock, dove insegno al quarto anno. Claudia Marsicano e Francesco Alberici,
che ha vinto il Premio UBU come regista e attore, sono miei ex allievi. E ultima, non per importanza, Eleonora Iregna, attrice e anima dei corsi monosettimanali.
Come ti fa sentire tutto questo?
È una grande soddisfazione e orgoglio, poi quando si cresce, spesso si dimenticano le radici. Ma questi sono risultati che ripagano di tutti i sacrifici, fatiche, investimenti e le energie investite.
Qual è, secondo te, oggi la sfida più grande del teatro? In un periodo in cui è tutto rapido, astratto, superficiale
Viviamo in un mondo dominato dalla velocità e dall'immagine. Il teatro, invece, ha ancora la forza della parola e la potenza della profondità. È uno spazio in cui si può riflettere davvero, anche su temi importanti. Vedere anziani e giovani partecipare con attenzione ai nostri spettacoli è un segnale importante. La parola ha un potere enorme, oggi più che mai.
Prossimi appuntamenti?
A inizio luglio replichiamo alcuni dei “corti” del teatro itinerante. Poi da metà luglio, fino alla fine del mese, faremo il nostro storico seminario estivo - ormai da 20 anni lo facciamo - nelle Marche. È un’esperienza formativa intensa, che dura due settimane. A settembre invece parte un piccolo festival organizzato grazie a una convezione finanziata dal Comune di Corsico. Tra la terza e la quarta settimana di settembre partirà questo festival teatrale.
Ma qual è il rapporto con le istituzioni?
Diciamo che dopo oltre quarant’anni abbiamo finalmente ricevuto un riconoscimento formale da parte del Comune, una targa al valore. Niente di più, ma ci ha fatto piacere. Avremmo preferito riceverlo prima per il lavoro svolto in questi anni, ma meglio tardi che mai.
Fabio Fagnani