Editoriale | Di questi tempi... Non s’ha da fare...

Nell'uscita del 29 maggio 2020, non avrei potuto trattare altro argomento...

Editoriale | Di questi tempi... Non s’ha da fare...
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Editoriale | Di questi tempi... Non s’ha da fare.

Editoriale | Di questi tempi... Non s’ha da fare

Ho iniziato a scrivere questo pezzo non so più quante volte, se consideriamo i tentativi meccanici o quelli mentali. Mai le parole mi sembravano quelle giuste, quelle corrette: troppo personale, senza filo logico, poco sentito, troppo lungo… Ormai la data è arrivata, la scadenza per andare in stampa pure. Quindi sarà così.

29 maggio 2020

Una data come tante altre per molti, un giorno non segnato da cambi di “fase”, riaperture, decreti o quant’altro. Non per me, per noi come popolo.

In quella data avreste letto un giornale, specie nella sua declinazione “quotidiana” sul sito, praticamente vuoto, con roba vecchia (sicuramente avremmo programmato qualche pezzo, non di più) e saremmo stati stranamente molto silenziosi sui social. La ragione? Semplice: mi sposavo!

Sì, devo usare questa coniugazione del verbo, mai come in questo caso azzeccata: passato (e dovete concedermi la licenza poetica, so quanto sia poco corretto) imperfetto.

Già, davvero imperfetto…

Molti amici e parenti, scherzando (spero) ci hanno detto in questi mesi: “Ma guarda cosa avete causato con la decisione di sposarvi, addirittura una pandemia!” Sorvolo inoltre sul fatto che anche la Gio, la “futura chissà quando”, ci abbia letto un segno del destino in tutta questa storia del virus: “Forse dovremmo leggerli certi messaggi”.

Eppure io in questi mesi, prima di febbraio, me l’ero vista nella mente e nel cuore tante e tante volte questa giornata, vuoi anche per provare a rendere meno “ansiogeno” il giorno reale: la notte semi-insonne, la preparazione tra mille ansie, l’arrivo al luogo della cerimonia, i tanti visi degli amici e parenti, la commozione, le emozioni, troppo forti. Anche se, credo, la parola “troppo” non avrebbe avuto alcun senso in questo giorno. E poi la festa in cascina, i baci, gli abbracci. Le danze, la musica. Gioia, nulla di meno e nulla di più.

Nonostante, sempre per esorcizzare, l’ansia da preparazione (personale) o da preparativi (generale), la felicità di questo giorno sarebbe stata immensamente più grande di qualsiasi pippa mentale.

Vostro onore, a mia discolpa

Sul fatto che non abbia causato io una pandemia mondiale, posso affermare, e ho almeno una testimone che potrà confermare, che la proposta è stata fatta oltre un anno fa, quando un potenziale virus letale era solo nell’immaginario collettivo dei peggiori disaster movie o nelle pagine di storia più o meno recenti. Ma forse un segno del destino, ha ragione la Gio, dovevo vederlo: 31 maggio 2003, 17 anni… Conviviamo dal 2007, 13 anni (in realtà 2006, ma non mi veniva il giochino)… No, mi spiace, è più forte di me ma io non credo a queste cose.

“E quindi?”

E quindi niente, potrei chiudere qui scrivendo “fine di una breve storia triste in periodo di pandemia”. Non ci sposeremo, abbiamo scelto di non “farlo comunque” perché l’unione legale era in fondo, banalizzando volutamente, un pretesto per fare una bella festa con i nostri affetti. E una festa con un metro di distanza, niente baci e abbracci e la paura di creare un nuovo focolaio (visto anche il numero di parenti coinvolti, per non parlare degli amici) ce la siamo voluta risparmiare. Ma è chiaro che è solo, come hanno fatto i più grandi per i concerti previsti in questi mesi, una festa posticipata. Quando? Beh, lo scoprirete quando il sito andrà in vacanza per 24 ore…

Morale della favola

Beh, una vera morale non c’è in tutto questo, e non deve sempre esserci per forza. Di certo è una delle innumerevoli storie da pandemia. Ognuno ha le sue, belle o brutte. Per molti sono purtroppo storie di tragedia. Quindi, anche in questo caso, posso e devo vivere la mia storia triste con il giusto peso.

Una cosa, specie nei primi giorni di lockdown, quando ancora cercavamo di capire se saremmo riusciti a sposarci comunque, mi è balenata spesso nella mente: siamo più connessi gli uni agli altri più di quanto ci si renda conto. È solo questione di voler aprire gli occhi. Solo così la maggior parte dei muri potranno crollare. Così come ho pianto per la morte di persone mai conosciute, in questi mesi, vorrò gioire delle gioie altrui e voglio che siate felici per me, per quando il “matrimonio s’avrà da fare”. Ma sia chiaro, ok tutti connessi, ma non potrò invitarvi tutti…

Andrea Demarchi

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