La ‘ndrangheta sui parcheggi di Malpensa
E' partito tutto dalla denuncia di un imprenditore che si è rifiutato di piegare la testa alle imposizioni della criminalità organizzata.
La ‘ndrangheta sui parcheggi di Malpensa.
La ‘ndrangheta sui parcheggi di Malpensa
‘Ndrangheta sui parcheggi di Malpensa: 34 persone arrestate. Tra i coinvolti anche un politico locale che in alcune intercettazioni dice: “In ogni paese c’è la ‘ndrangheta” e fa il nome di Gioacchino Caianiello, esponente di Forza Italia di recente arrestato in un’altra maxi inchiesta. La rete di criminale che aveva il controllo completo dei terreni intorno all’aeroporto milanese.
Due sono finiti sotto sequestro
Le mani della ‘ndrangheta sui parcheggi di Malpensa, due dei quali sono finiti sotto sequestro su disposizione del gip del Tribunale di Milano, con la locale di Legnano e Lonate Pozzolo impegnata in una vera e propria corsa all’acquisizione dei terreni per la realizzazione dei posti auto (business ancor più redditizio ora che l’aeroporto di Linate sta per essere chiuso per quattro mesi). E’ quanto emerso da un’indagine avviata nell’aprile 2017 e coordinata dalla Dda di Milano che questa mattina, giovedì 4 luglio 2019, ha condotto a un maxiblitz che ha visto impegnati oltre 400 carabinieri sull’intero territorio nazionale, con il supporto di unità speciali, cinofile ed elicotteri.
Custodia cautelare nei confronti di 34 persone
Gli uomini del Comando provinciale di Milano, nelle province di Milano, Varese, Cosenza, Crotone, Firenze, Udine, Ancona, Aosta e Novara, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 34 persone, (32 italiani, un marocchino ed una donna romena), di cui 27 in carcere e sette agli arresti domiciliari, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, danneggiamento seguito da incendio, estorsione, violenza privata, lesioni personali aggravate, minaccia, detenzione e porto abusivo di armi, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti (tutti aggravati poiché commessi avvalendosi del metodo mafioso ed al fine di agevolare le attività dell’associazione mafiosa), truffa aggravata ai danni dello Stato ed intestazione fittizia di beni, accesso abusivo a un sistema informatico o telematico.
La denuncia di un imprenditore
A dieci anni di distanza dalle inchieste “Infinito” e “Bad boys”, che avevano sgominato la ‘ndrangheta nell’Altomilanese, gli inquirenti hanno accertato che, dopo la scarcerazione per fine pena, tra il 2015 e il 2017, di tre dei suoi esponenti apicali (il legnanese Vincenzo Rispoli, Emanuele De Castro e Mario Filippelli) la locale di Legnano-Lonate Pozzolo si era ricostituita e aveva ripreso a operare. Solo che questa volta un imprenditore ha denunciato. Dopo essersi rifiutato di entrare in affari con gli ‘ndranghetisti, l’uomo ha iniziato a registrare tutte le chiamate fatte al suo cellulare, in entrata e in uscita, e ha poi consegnato ai pm una testimonianza preziosissima di questa storia, che per i magistrati è quella di un’estorsione aggravata dal metodo mafioso. All’uomo era stato intimato di astenersi dall’acquisizione di un terreno nel comune di Ferno per la realizzazione di un parcheggio, o in alternativa di coinvolgere il sodalizio, pena il rischio di vedere distrutto il proprio business. “Qualunque cosa viene fatta lì, sono io che vado lì e scasso tutto” è la minaccia del referente del clan. «Io non mi piego e vado avanti» la risposta dell’imprenditore coraggioso.
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Nel Varesotto era un “organismo territoriale”
Oltre due anni di indagini hanno permesso di accertare che l’organizzazione era riuscita a infiltrarsi negli apparati istituzionali e manteneva rapporti con le locali di Cirò Marina e quelle lombarde. Non solo. In pieno Varesotto, la locale di Lonate Pozzolo veniva percepita come un organismo territoriale in grado di risolvere controversie: ecco allora che la gente comune si rivolge agli ‘ndranghetisti per recuperare crediti, o addirittura per questioni sentimentali (un padre ha chiesto di picchiare il fidanzato sgradito della figlia).
Coinvolta anche la politica locale
Ultimo aspetto, ma non meno importante, è quello del coinvolgimento della politica locale, con le giunte dei Comuni di Lonate Pozzolo e Ferno considerate dagli inquirenti espressione della “capacità del gruppo criminale di veicolare considerevoli quantità di voti, barattandola con la nomina di famigliari e parenti a cariche politiche ed amministrative”. Tra gli arrestati c’è anche il consigliere comunale di Ferno Enzo Misiano, 41 anni, dipendente del Comune di Lonate Pozzolo. Eletto nelle file della maggioranza di centrodestra e iscritto a Fratelli d’Italia, è accusato dai magistrati di essere il legame tra l’ambiente politico locale ed esponenti di spicco della cosca mafiosa. Infine, è emerso anche il controllo di un pacchetto di voti che l’organizzazione faceva valere a ogni elezione. Lo stesso ex primo cittadino di Lonate Pozzolo Danilo Rivolta aveva dichiarato di aver ricevuto un forte supporto elettorale, quantificato in un pacchetto di 300 voti, barattati con la nomina della nipote dell’ex capo della locale ad assessore alla Cultura.
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