27 anni di carcere per Daniele Rezza, il ragazzo oggi ventenne che nella notte dell’11 ottobre 2024 uccise Manuel Mastrapasqua, 31 anni, per un paio di cuffiette dal valore di appena 14 euro. La Corte d’Assise di Milano ha depositato le motivazioni della sentenza con cui ha condannato il giovane, chiarendo un punto cruciale: il contesto di provenienza non può diventare una giustificazione automatica per la violenza.
Omicidio Mastrapasqua, condannato a 27 anni il giovane killer
MILANO – La procura aveva chiesto per Rezza una condanna a 20 anni, invocando il riconoscimento delle attenuanti legate al suo difficile percorso di vita. Secondo i magistrati, infatti, il giovane sarebbe cresciuto in un ambiente segnato da “una violenza cronica”, nel cuore di Rozzano, alle porte di Milano. Ma i giudici non hanno accolto questa lettura dei fatti. Nelle carte della sentenza, si legge che “le disagiate condizioni socio-familiari non risultano sufficientemente dimostrate” e che “la concessione delle attenuanti non può basarsi sul semplice luogo di provenienza”.
Nessun automatismo tra disagio sociale e riduzione di pena
I magistrati sottolineano un principio di fondo: riconoscere attenuanti solo perché un imputato proviene da una zona periferica o economicamente svantaggiata equivarrebbe ad alimentare “un pregiudizio inaccettabile, secondo cui tutti gli abitanti di certi quartieri sarebbero più inclini alla delinquenza”. In altre parole, Rozzano non è – e non può diventare – un’etichetta.
L’intento dei giudici è chiaro: evitare che la provenienza geografica diventi una categoria giuridica, con il rischio di creare un doppio standard di giudizio e di consolidare stereotipi territoriali. “L’applicazione delle attenuanti generiche non può dipendere dal luogo di residenza dell’imputato”, altrimenti si finirebbe col legittimare una “disparità sanzionatoria” fondata su criteri discriminatori.
“Non è solo figlio del suo ambiente”
Pur non riconoscendo il contesto familiare come attenuante, la Corte ha comunque tenuto conto della giovane età dell’imputato al momento dei fatti – appena 19 anni – valutandola come elemento per una parziale mitigazione della pena. Ma i giudici si spingono oltre nel delineare la responsabilità individuale di Rezza: “un individuo che, pur essendo fisiologicamente influenzato dal proprio ambiente d’origine non è una mera proiezione di tale luogo, ma dispone di libero arbitrio e di una personalità complessa, frutto della commistione di stimoli eterogenei, positivi o negativi, stratificatisi nel corso degli anni”.