L'INTERVISTA

Quattro (ex) ragazzi, dalla periferia alla conquista del mondo: la storia del marchio Dolly Noire

Il sogno di quattro adolescenti della provincia di Milano: la storia di Gioele, Federico, Alessandro e Daniele, i fondatori dell’azienda d’abbigliamento streetwear Dolly Noire

Quattro (ex) ragazzi, dalla periferia alla conquista del mondo: la storia del marchio Dolly Noire
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Quattro adolescenti della provincia di Milano hanno un sogno: portare la propria identità, la propria visione e la propria “fame” all’interno del mondo dell’abbigliamento. Sembra l’inizio di un film, oppure di una favola sulla crescita personale e il valore dell’amicizia, invece è la storia di Gioele, Federico, Alessandro e Daniele, i fondatori di Dolly Noire.

Quattro (ex) ragazzi, dalla periferia alla conquista del mondo: la storia del marchio Dolly Noire

MILANO - Già solo il nome parla chiaro: differenziarsi dai cloni, via le etichette, le categorie, l’incasellamento; e non è un caso che il nome lo abbiano scelto quando erano solo degli adolescenti con la voglia di urlare al mondo la propria diversità. Oggi sono passati vent’anni da quel 2004, quando quei quattro ragazzi si sono ripromessi di studiare, formarsi, separarsi per poi ricongiungersi e creare l’azienda d’abbigliamento streetwear Dolly Noire.

Passavano il pomeriggio sulla stessa panchina al parco: prime sigarette, primi amori, prime scazzottate e il tempo macina esperienza, macina vita. Vent’anni in cui è cambiato il mondo: sono arrivati i social, la condivisione delle piattaforme streaming, a cui è dovuto soccombere anche eMule, la pandemia, altre guerre e la sensazione che forse molte delle cose che si davano per scontate in passato oggi non lo sono piu così tanto, e nel frattempo è partito un altro giro di giostra e bisogna adeguarsi ad esso.

Ho fatto due chiacchiere con Daniele Crepaldi, uno dei fondatori, Brand Manager dell’azienda.

Partirei dal nuovo locale. Come e perché è nata l’idea? Da quale esigenza e che luogo volete che diventi?

L’idea è nata dopo la pandemia. Volevamo trasformare il nostro Flagship store da un semplice negozio di abbigliamento a qualcosa di più esperienziale. Abbiamo modificato quindi metà negozio dedicandolo  all’intrattenimento, ma ci siamo accorti che le persone, i clienti, gli ambassador sembrava volessero qualcosa di più e da qui è nata la volontà di creare il nostro locale. Un luogo d’incontro, il Dolly Noire District in via Vetere 8 a Milano, dove trovarsi, parlare, confrontarsi e godersi - banalmente - una bevuta, ma sempre nello stile Dolly Noire.

Quest’anno sono 20 anni da quel famoso 2004, eravate dei ragazzi con un sogno e siete partiti da una panchina, e da lì un’idea. Come siete cambiati voi? Come è cambiato quel sogno? Come è cambiata la società attorno a voi? Ogni tanto vi capita di pensarci nella quotidianità o siete troppo presi dall’azienda e dal futuro?

Sì, quest’anno sono vent’anni da quella sera in cui noi quattro, che eravamo quattro amici che si conoscevano dall’asilo, ci siamo detti: “Ma perché non fare qualcosa insieme?”. Sicuramente siamo cresciuti e i problemi di vent’anni fa sono alle spalle. Oggi siamo adulti con problemi e soddisfazioni da adulti. Se una volta il problema era pagarsi il sabato sera o la ragazza che ti aveva mollato, oggi per fortuna la nostra testa va alla gestione della famiglia, dei figli, al mutuo. A livello di personalità, invece, penso che siamo rimasti un po’ gli stessi, ed è una delle forze del nostro brand che di fatto si basa sulla forte identità e personalità dei quattro fondatori. Da chi è più impulsivo, chi più preciso e ha bisogno di sostegno nei momenti di ansia e stress, chi invece è più creativo o chi è più diretto. Quattro personalità diverse che però si fondono nella voglia di creare una realtà che possa essere un simbolo delle generazioni, una realtà che si è costruita da sola e che anno dopo anno continua a mettere dei tasselli di crescita importanti sia nel panorama italiano sia, oggi ma anche nel prossimo futuro, a livello internazionale.

Siete ancora legati in un modo o nell’altro alla periferia, anche se ormai Dolly Noire è un brand dal respiro internazionale. Sareste riusciti ad arrivare dove siete oggi senza quelle origini date dall’hinterland?

Sicuramente venire dalla periferia ci ha dato quella voglia di capire che cos'è Milano. Cosa funziona e cosa no, conoscere l’ambiente della moda milanese. Venire da fuori voleva dire essere per forza curiosi di conoscere una metropoli come Milano.

Siete partiti con la sfera rap, poi gli sportivi, oggi una buona fetta di testimonial partono dai social, sono streamer o creatori di contenuti, come mai questa scelta?

Da sempre supportiamo i talenti a 360 gradi, da qualsiasi mondo provengano. Spesso sono mondi inesplorati, ma comunque rispondono alle nostre passioni. A un certo punto, durante la quarantena, ci siamo trovati ad approfondire molto il mondo del gaming e dello streaming. Quando ci sono dei profili, dei testimonial, che esprimono determinati valori, ci fa piacere supportarli. Ovviamente, non abbiamo abbandonato il mondo musicale, solo che oggi come oggi abbiamo dato più visibilità ad altro.

Tra le collaborazioni recenti, Pokémon, Attacco dei Giganti e altri. Quale è stata più gratificante e quale la più difficile?

La collabo con Pokémon è stata la più gratificante e al contempo la più difficile. È un brand con cui è stato fatto di tutto, che è conosciuto in tutto il mondo e da qualsiasi generazione, e cercare di essere originali e unici e avere apprezzamento da community di livello internazionale è gratificante. Ricordiamoci che il pokémon center negli Stati Uniti ha fatto per due volte sold out dei nostri prodotti. Quindi c’è da dire che gente che non conosceva il brand ha apprezzato quelle che sono state le nostre collezioni. È stata una vittoria e la stiamo continuamente ristoccando perché appena la rilanciamo va esaurita in poco tempo.

Siete passati da momenti difficili - come per tutti - per via della pandemia, avete mai pensato di dover chiudere? Come vi ha fatto sentire questa cosa? Come vi ha migliorati?

Credo che non sia mai passato per le nostre menti e anche tuttora, nei momenti difficili, non pensiamo mai che si possa chiudere. C’è stato il pensiero immediato di reagire. Cosa possiamo fare per riprenderci? Diversificare, migliorare, trovare nuove opportunità, esattamente come l’idea di aprire un locale esperienziale.

I murales in giro per Milano sono ancora un progetto? Un progetto che deve ancora partire: che ci puoi raccontare?

È qualcosa che ci ha legato tantissimo al territorio, soprattutto all’inizio. Supportiamo ancora la scena di street art e writing italiana, ma è vero che è qualche anno che non abbiamo fatto murales in giro per la città. Il mio sogno è realizzare un campo da basket a Milano “stile Nike a Parigi”. Ogni anno un nuovo murales che possa comunicare e lanciare la collezione di quell’anno. Qualcosa di iconico e che possa diventare anche una meta per i turisti che passano per Milano.

Fabio Fagnani

 

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